Sospesi tra cielo e terra
Ascensione del Signore Anno B (At 1,1-11; Ef 4,1-13; Mc 16,15-20)
La festa dell’Ascensione del Signore al cielo è una festa strana e diversa: non c’è nulla che si possa guardare. Il Risorto è sottratto alla vista. Non è allora festa di qualcosa che può essere visto, ma di qualcosa che deve essere fatto. È festa che mette in moto la vita e ridesta dai nostri torpori.
Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi (At 1,9)
Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose (Ef 4,10)
Gesù ascende al cielo e sembra lasciare ciascuno come in balia degli eventi e del tempo. In realtà, egli lascia quegli Undici per restare per sempre con tutti, lascia quel santo luogo per essere in ognuno dei luoghi, lascia il tempo che lo ha visto operare, per rendere suo ogni tempo.
L’Ascensione è il movimento del Cristo che lascia la terra, si sottrae alla vista dei discepoli e, così, li rende suo segno e parola, sua impronta e sua azione, suo gesto e presenza.
Egli, nella forza dello Spirito, resta presente nel mondo, continua a camminare sui sentieri della terra e del tempo e ovunque continua a tracciare sentieri di cielo. No! Non è assente o lontano. Si è inoltrato e nascosto fin dentro la storia e la vita, perché è qui che i cristiani possono vivere ora il loro essere presenza di Cristo, sue membra e suo corpo.
Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura (Mc 16,15)
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano (Mc 16,20)
Da quel giorno Cristo è ancora presente, lo è ancora di più, lo è nel volto dei suoi testimoni, nella Parola e nei segni che essi continuano a seminare. Cristo non ha lasciato la terra, ma ha iniziato ad abitarla e a farla sua casa rendendo suo corpo la Chiesa. Non quella che noi desideriamo e vorremmo, ma proprio questa Chiesa, disastrata e ammaccata, che siamo io e te.
Egli è asceso al cielo per essere corpo vivo e diffuso, per essere corpo che si fa servo, parola che si fa annuncio, gesto che cura e risana, amore che perdona e rialza. Da quel giorno noi siamo questo, siamo suo corpo e presenza perché egli possa ancora agire nel tempo.
E allora sulla terra c’è ancora la presenza di Cristo, ci sono la sua parola e i suoi gesti, ci sono i suoi segni e le sue tracce, ci sono perché egli ci ha reso capaci di essere sua presenza e parola, sua voce e suo amore.
Dirsi cristiani, quindi, non è vanto e diritto, né privilegio o menzione d’onore. Dirsi cristiani è dire il Cristo con la carne che abbiamo. Siamo cristiani perché siamo di Cristo, perché egli è in noi e noi siamo in lui, siamo cristiani perché dovremmo, con segni e parole, con la vita ed il cuore, diventare sua trasparenza e presenza.
L’Ascensione, quindi, non chiude il tempo della presenza del Risorto in mezzo a noi, ma apre il tempo in cui egli ci chiede, per il dono dello Spirito, di renderlo presente e di renderlo vivo. Si apre il tempo nuovo dell’annuncio, della missione e dei segni perché sia edificata una umanità che sia sempre più vera.
È il tempo quindi di una nuova e più grande presenza, perché, per il dono del suo amore, il cielo si è ormai installato su questa terra. E la Chiesa ne è segno e strumento, presenza e azione, profezia e testimonianza.
Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti.
A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo (Ef 4,4-7)
Un unico Dio ha amato la terra, un unico Signore l’ha risollevata e redenta, un unico Spirito continua a parlare e a ripetere la Parola che ha sconfitto la morte. La Chiesa è chiamata ad essere una, perché è corpo che vive del Cristo ed è corpo che fa vivere il Cristo nei tempi e negli spazi degli uomini. Ciascuno di noi per la sua parte, ognuno a suo modo, ma ciascuno insieme con gli altri, perché uno solo è il Cristo che salva, uno solo è il corpo del Cristo vivente.
E dovremmo ancora guardare a questo corpo ecclesiale, sfibrato e slabbrato, teso e usurato, sporco e invecchiato. Dovremmo impararne ad essere degni, a lasciare che si compia in noi una nuova unione della carne e del Verbo. Il Verbo che si è fatto carne è asceso e ha reso la nostra carne capace di dire e vivere il Verbo. Ciascuno per la sua parte, senza pretendere di essere il tutto, senza sperare di diventare qualcuno, senza ambire a guidare il cammino. Siamo il corpo di Cristo, quel corpo che deve crescere e rendere nuova la storia e riempire la terra della sua dolce e gloriosa presenza.
E quanto è difficile conservare l’unità, quanto è difficile non pensare di poter fare da soli! È Dio che agisce in tutti, “opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti”. E allora dovremmo davvero imparare a vedere e a conoscere il Dio che agisce in ciascuno, e dovremmo anche lasciare che sia lui, prima di noi, ad agire e a vivere in noi, che sia lui a modellarci e a plasmarci, a renderci membra viventi del Cristo che è nella gloria.
Allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo (Ef 4,12-13)
Il tempo aperto dall’ascensione è tempo di edificazione, non di qualcosa di nostro, non di un’opera bella, non di intuizioni e pensieri, ma del corpo di Cristo, della sua vera e viva presenza, del suo farsi ancora strada nel mondo, del suo essere ancora vicino, del suo avere ancora parola d’amore, del suo compiere gesti di dono, del suo prendere in braccio il più debole, del suo sanare e curare le piaghe, del suo vincere e superare ogni male, del suo perdonare il peccato, del suo annientare la morte, del suo essere, insomma, umanità nuova e radiosa.
La terra è piena della pienezza di Dio perché egli ha incuneato la sua viva presenza nella carne di questa umanità, carne resa divina dallo Spirito e dal dono d’amore. Solo questo è la Chiesa: splendore e presenza di Dio, suo corpo e suo segno, suo strumento e dimora. Solo questo è la comunità dei credenti: un unico corpo che, nella diversità dei ministeri e carismi, rinnova il volto dell’umanità perché diventi il volto di Cristo.
Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? (At 1,11)
L’Ascensione non ci rimanda al cielo, non ci fa restare con il naso all’insù, in attesa di tempi e situazioni migliori, non ci fa vivere come nostalgici, bisognosi di una presenza. L’Ascensione ci rimanda e ci spinge alla terra, a questa terra martoriata e ferita, perché è qui che siamo chiamati a rendere presente, viva e operante la presenza del Signore Risorto. È qui che siamo anche chiamati a riconoscerlo e a incontrarlo vivo e presente. La Parola e il Battesimo, i Sacramenti e l’amore, i poveri e quelli che cercano cura e presenza, coloro che attendono risurrezione e riscatto, guarigione e sollievo: sono questi e altri ancora i luoghi in cui il Risorto continua a farsi incontrare e vedere, continua a segnare il cammino, ad aprire sentieri e allargare orizzonti.
L’Ascensione è festa che costringe a sentire e a vedere la tensione tra il cielo e la terra, tra il futuro e il presente, tra il tempo di Dio e quello dell’uomo. Eppure è in questa tensione che vive la Chiesa e vive il credente. È in questa tensione che si compiono i doni del Figlio. La Chiesa e il credente sta sulla terra e, in essa, si impegna e lavora perché questo mondo è chiamato a diventare divino, a crescere alla pienezza di Cristo, a diventare un unico corpo di Cristo.
Siamo tesi e sospesi tra il cielo e la terra perché si compia in tutti e in ognuno il mistero compiuto nel Figlio e ogni carne diventi divina e ogni corpo diventi glorioso e ogni terra diventi cielo. Perché è il cielo a rendere viva la terra, a darle forma e vigore, a darle volto e futuro.
E dobbiamo restare e abitare in questa tensione tra il cielo e la terra, in questo duplice appartenere, in questo impegno terreno che ha una speranza radicata nei cieli.
“Perciò fu assunto in cielo, per sollevare con sé la terra e farla cielo. […] Egli impiantò i cieli, cioè la divinità, sulla terra della nostra umanità e fondò la terra della nostra umanità nel cielo, cioè ve la stabilì per sempre”[1].
In Cristo noi siamo già in cielo e in noi Cristo è ancora qui in terra. È questo il mistero che oggi celebriamo: il mistero di Cristo e di ciascuno di noi.
Il cielo ha accolto in sé la terra e questa terra può già essere cielo, per questo può essere amata, per questo può essere accolta la vita, per questo possiamo, di questa vita, essere servi. Non possiamo restare a fissare il cielo, perché il cielo dobbiamo servirlo e accrescerlo qui e, su questa terra, renderlo vivo e fecondo.
Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo (At 1,11)
Resta la tensione, perché questa terra attende ancora di essere riempita di Dio, di diventare tutta redenta e salvata, di essere tutta splendente della sua gloria. Verrà dal cielo il Risorto, verrà ancora una volta, per rendere piena la gioia.
Certo, non possiamo sfuggire alla terra, rifugiandoci in sogni celesti, perché il cielo è già qui, ed è qui che si compie il mistero, è qui che verrà il Risorto glorioso. Ma la Chiesa e il credente sanno che non dalla terra traggono vita, non alla terra possono affidare il futuro, non dalla terra nascerà il bene.
Ascensione è questo e questo soltanto: sapere che i nostri piedi sono piantati e saldi qui in terra, perché questa carne mortale è già seduta nei cieli, è già alla destra di Dio. E di là un giorno il Cristo ritornerà per rendere perfetto e compiuto ciò che, già ora, è promesso e iniziato.
L’Ascensione è festa diversa perché ci chiede di muovere la nostra vita e di rendere pieno e concreto l’evento. Non ci basta guardare la sua assenza, serve rintracciare e donare la sua presenza, non ci basta levare gli occhi al cielo, ma occorre guardare alla terra e qui scovare le sue tracce e qui donare agli altri la possibilità di vederlo e incontrarlo.
L’Ascensione è festa della Chiesa, testimone di un dono che si fa presenza, di un annuncio che si fa storia, di una fede che si fa vita.Un solo corpo è quello del Cristo Risorto: quello che è in cielo e quello che è in terra, e in questo corpo ci siamo anche noi, siamo anche noi questo corpo glorioso. E mentre siamo in cammino siamo anche in attesa che si compia il tempo e che dal cielo ritorni il Cristo Risorto per rendere uno ciò che ora è diviso, per rendere eterno ciò che ora è spezzato, per rendere tutti gloriosi con lui.
[1] Sant’Antonio di Padova, I Sermoni, Padova 2002, p. 355