Tante lingue una sola Parola
Pentecoste Anno B (At 2,1-11; Gal 5,16-25; Gv 15,26-27; 16,12-15)
Si conclude il tempo pasquale, questi cinquanta giorni vissuti nella luce del Cristo risorto. Tuttavia non si conclude la Pasqua, non si chiude e rinserra la storia nuova che, da quel giorno, ha investito la vita del mondo.
La Pentecoste, infatti, più che chiudere il periodo pasquale, compie e rende perenne il tempo nuovo della Pasqua di Cristo. È l’inizio di un mondo e di una storia della quale noi siamo ormai resi partecipi. Il dono dello Spirito, che irrompe il giorno di Pentecoste, continua a irrompere vivo e gagliardo nel cuore della Chiesa e in ciascuno di noi perché sia resa pasquale la vita e la storia del mondo, perché sia ancora vivo e presente l’annuncio che l’Amore non muore, che Cristo ha sconfitto la morte.
Senza questo giorno di Pentecoste, tutto apparterrebbe al passato, alla cronaca e ai ricordi ormai morti. Questo è il giorno per cui la Pasqua non è solo un ricordo ma è un passato che riempie e rende vivo il presente, un passato che vive nell’oggi di ognuno, un passato che diventa futuro perché tutto abbia un senso e diventi per sempre.
Mentre stava compiendosi il giorno di Pentecoste (At 2,1)
Stava compiendosi il giorno di Pentecoste. Eppure erano ancora le nove del mattino quando lo Spirito irrompe sulla comunità radunata per riempirla tutta della presenza divina. Quel giorno di Pentecoste era già festa, lo era da secoli.
Si celebrava la fine della mietitura, il tempo in cui si raccoglie il frutto della terra, dono di Dio per la vita del popolo. Mietere è ricevere in dono la vita del corpo che nel grano trova il suo segno e il suo alimento. E allora, dopo sette settimane dal primo covone, si festeggiava il tempo della pienezza, il raccolto già pieno, la pienezza del dono che permette la vita. Si festeggiava il futuro che il raccolto rendeva possibile, la vita che poteva avanzare, la certezza che la fame non avrebbe avuto potere. Questa festa contadina celebrava la ricchezza del raccolto e vedeva in essa la ricchezza del dono di vita, una vita che è sempre davanti, una vita che si riceve solo sprecando e rischiando, solo mettendo a morire quei chicchi di grano che, invece di diventare cibo, sono affidati e affondati in terra. Ogni semina è rischio e scommessa, è sfida lanciata alla morte, è fiducia e speranza, nascoste nel nudo terreno, è palpito e attesa, è privazione che si arrischia ad essere dono. Per questo, sette settimane dopo il primo covone, la fine della mietitura è festa: la sfida è stata vinta, ogni chicco è diventato centinaia, ogni rinuncia è diventata ricchezza, il futuro è diventato possibile.
Ad un certo punto, questa festa divenne festa più grande e più aperta. Divenne festa per la Legge e i Comandamenti donati al Sinai. Sette settimane dopo la Pasqua, che è liberazione e uscita dall’Egitto, il popolo riceve da Dio ciò che permette di restare libero, ciò che consente di restare in vita, ciò che abilita a diventare popolo. L’Alleanza al Sinai fa nascere il popolo, la Legge permette a ciascuno di vivere insieme, di guardarsi come fratelli, di riconoscersi come liberi perché liberati. La Legge diventa il segno e l’indicazione di una vita e di un futuro possibile. Poiché Dio ha donato la legge, la storia può avere un futuro, la liberazione può diventare perenne, la vita può essere viva. Al Sinai ha inizio una relazione che, dopo aver liberato, offre parole che indicano e tracciano il cammino perché la libertà ricevuta non sia solo un dono passato, ma sia un dono che resti perenne, una libertà resa possibile anche nel tempo futuro.
La festa della Pentecoste era quindi festa del futuro reso possibile, della vita moltiplicata, della libertà che viene donata, della comunione resa visibile perché si accolgono e vivono parole che mostrano il cammino, parole che narrano un incontro che si fa dialogo e storia. L’evento della Pasqua ebraica doveva, per il dono della Legge, diventare perenne, reso vivo e presente in ogni futuro.
Ecco perché a Gerusalemme, quel giorno, la festa di Pentecoste sta davvero per compiersi, sta per raggiungere una nuova e definitiva pienezza. Una presenza che libera e unisce, il futuro che diventa possibile, la storia che racconta un incontro, il dono che rende piena la vita, il dialogo che crea e libera un popolo non è più solo nei covoni raccolti, non è più solo in una legge da ricevere e amare.
Si compie la Pentecoste perché quel giorno a Gerusalemme Dio non dona semplicemente qualcosa. Lo Spirito non è un dono di Dio, come lo era il raccolto e lo era la Legge. Lo Spirito non è un dono di Dio perché è Dio stesso che si fa dono e presenza in mezzo a noi e in ciascuno di noi. Lo Spirito è Dio che si fa intimo a noi per renderci suoi e per renderci vivi e rendere vivo in noi l’evento pasquale che si è compiuto nel Figlio. Lo Spirito è Dio che viene in noi per modellarci e renderci simili al Figlio, per modellare in noi un’esistenza risorta e redenta.
Non basta il raccolto e non basta la legge per avere una vita che sia sempre vera, per avere un futuro che sia aperto e possibile, per avere parole che vivano in noi, per avere una presenza che si trasformi in azione, per avere una norma che diventi forza, per avere un modello che ci muova da dentro, per essere liberi e restarlo davvero.
Quando verrà il Paraclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal padre egli darà testimonianza di me (Gv 15,26)
Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità (Gv 16,13)
Lo Spirito che ci viene accanto e ci resta vicino dà testimonianza del Figlio Risorto, ci svela che è vero e vivo il suo volto, presente ancora nelle trame nascoste dei giorni.
Lo Spirito rende testimonianza del Figlio perché ci fa partecipi della sua storia, ci fa vedere che è Verità, ci fa vivere della sua presenza, ci rende capaci di partecipare al suo dono d’amore che, compiuto una volta per tutte, continua ad essere dono che ci riguarda e ci interroga, che ci investe e ci fa partecipi di una storia che è ormai anche nostra.
La vicenda di Gesù non è più come quella di un qualsiasi uomo del tempo passato, uno dei tanti modelli ai quali guardare o dei tanti testimoni che ancora oggi sembrano dire qualcosa. Il Cristo, che è Verità, ci è mostrato vivo e presente nelle vicende e nelle scelte della nostra esistenza ed è lo Spirito a guidarci sempre più verso lui, sempre più in lui, per diventare sempre più come lui. E non per una forza che è nostra, non per una legge che è data, non per un modello che abbiamo di fronte, ma per lo Spirito che è Dio e che abita in noi e muove in noi il nostro essere e il nostro operare e lo rende sempre più vero, più simile all’unica Verità: il Cristo Risorto per sempre.
A lui ci guida lo Spirito, perché la Pasqua non diventi passato, non diventi solo un ricordo. Lo Spirito ci fa sentire che ancora è la Pasqua, ci è dentro e davanti.
Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi (At 2,2-4)
La Pentecoste si compie allora quel giorno e ancora si compie in ognuno dei giorni. Non si ascolteranno più tuoni e fragori che indicano la presenza di Dio, perché Dio si fa presente in ciascuno come fuoco che fa ardere il cuore, come lingua che dice la vita e la dice nel pieno del nostro vissuto.
La Parola non è più voce esterna che indica e dice la strada, ma è vita che vive in noi, vento che modella e dà forma, che feconda e apre al futuro.
È lo Spirito che, come vento gagliardo, mette a subbuglio le nostre certezze, squinterna le nostre precisioni, rovescia le nostre sicurezze. Lo Spirito è come vento che si abbatte gagliardo per fecondare e far germinare la vita, per modellare e rendere visibile, nel volto diverso che noi tutti abbiamo, quell’unico volto, quello del Cristo, che libera e ama.
Lo Spirito è vento fecondo che rende le nostre aride vite capaci di portare frutto: Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (Gal 5,22).
Si compie la Pentecoste. E lo Spirito è come lingue di fuoco perché la Parola ci riscaldi e ci bruci dentro e parli in noi e per noi per dire parole che siano divine e facciano ancora ardere il cuore.
Pentecoste è festa del mondo, perché abbiamo lingue e stili e modi e vite diversi per sentire e ripetere e rendere viva nel mondo l’unica Parola che dice il vero, Parola che ora ci è dentro e ci è addosso.
Tutti sentono parlare nella loro lingua perché la Parola è dono per tutti. E non si può dire Dio se non dicendolo in lingue diverse, in lingue che ciascuno possa sentire, in cui ciascuno possa sentirsi coinvolto. Perché Dio appella e chiama ciascuno per nome. E allora si moltiplichino pure le lingue, i toni e gli accenti diversi. Ciò che conta è dire insieme, con il fuoco che ci brucia dentro, l’unica Parola che resta vera in eterno.
Le lingue devono essere tante perché ognuno possa comprendere e dire secondo la sua storia, la sua personale adesione, il suo unico e singolare vissuto, la Parola che resta sempre la stessa. Ed è la stessa Parola che prende corpo in ciascuno di noi, e in ciascuno diventa storia, secondo la creativa bellezza di ciò che non può essere pensato, non può essere previsto, non può essere programmato. Lo Spirito è Dio che prende noi e i nostri linguaggi, le nostre vite e le nostre storie e rende tutti capaci di dire, ciascuno e insieme, l’unica Parola che salva e dà vita al mondo.
Pentecoste è la moltiplicazione delle lingue perché tutti, ciascuno a suo modo, possano diventare capaci dell’unica Parola. Dio rende dicibile l’unica sua Parola in tutte le lingue e gli accenti del mondo, in tutte le vite e i modi possibili, in tutti i luoghi e le situazioni diverse. È lo Spirito che crea e modella in ciascuno quel modo unico e originale perché sia ancora donata la Pasqua, il Cristo sia reso presente, il dono sia accolto e donato.
E bisogna evitare il rischio di volere tutti una sola lingua. Bisogna rinunciare a tenere tutto sotto controllo, a rendere tutto uguale e indistinto, omologando e mettendo a tacere ogni vita che dice, come sa fare e sa essere, quell’unica Parola che solo lo Spirito sa incarnare e rendere corpo e vita nell’uomo. Se mancano le lingue diverse, se manca la creatività dello Spirito, se manca il molteplice che dice l’Uno, il rischio è che non possa più essere udita, vissuta e vita la Parola che è Verità.
E bisogna anche evitare il rischio di moltiplicare le parole da dire, di confondere la Parola che è vera con le chiacchiere e le opinioni del mondo. Lo Spirito moltiplica le lingue perché ciascuno possa restare fedele all’unica Parola. E a nulla serviranno le lingue se non diranno più la Parola che è Verità, l’unica che è sempre da dire e sempre da vivere.
Solo così lo Spirito crea unità e forma comunità: moltiplica le lingue per scolpire nella vita di ognuno, in maniera sempre nuova e diversa, l’unica Parola che conta, Parola che è resa ora dicibile in mille modi e vite diverse.
Si compia quindi la Pentecoste e lo Spirito renda la polifonia delle vite diverse un’unico annuncio d’amore che mostri nel mondo che la Pasqua è un oggi destinato a tutti.