Parola

Non due volti ma uno

Maria SS. Madre di Dio – Ottava di Natale ( Nm 6,22-27; Gal 4,4-7; Lc 2,16-21)

L’origine del nostro capodanno si deve a Giano bifronte. Era un dio dotato di un doppio volto: capace di guardare indietro, al passato, e di vedere il futuro. Era il dio dell’apertura e di ogni inizio.

Anche noi siamo soliti, al termine di un anno, volgere lo sguardo indietro per tirare le somme e, contemporaneamente, proiettarci in avanti, con il cuore colmo di attese e di paure, di speranze e timori. E la liturgia ci accompagna in questo nostro attraversare il tempo.

Non sappiamo come sarà il nuovo anno (che non si apre certo con i migliori auspici), tuttavia la storia civile e il ciclo dei giorni ripartono otto giorni dopo il Natale. È dal quel piccolo bimbo nella mangiatoia che si compie la svolta su ogni calendario e si inaugura un tempo nuovo. L’alba di un altro inizio è segnata dalla luce della notte di Natale, che la Chiesa celebra per otto giorni.

È per il Natale di Cristo che la storia, quella di ognuno e di tutti, riparte e avanza, progredisce e va oltre. È lui lo spartiacque della storia e del tempo, è lui il criterio che segna l’inizio, sempre possibile, di una avventura nuova. 

L’anno che si apre sarà come gli altri, ossia diverso da tutti eppure a tutti sin troppo simile. Ma ciò che importa è che potrà essere ancora un anno di grazia, un anno del Signore, un anno in cui Dio e l’uomo potranno camminare insieme. 

Non abbiamo bisogno di due volti per attraversare il tempo che passa, ma solo di uno, quello del Padre che nel Figlio ha rivolto verso di noi il suo volto e lo ha fatto risplendere, perché la sua luce tratteggiasse, sul nostro volto, gli stessi tratti del suo.

Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli.
E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre!
(Gal 4,-6)

Il Natale e il Capodanno ci ricordano che Dio ha reso pieno il nostro tempo. Dio porta a compimento il tempo, rendendolo pieno. Il nostro è ormai tempo che è giunto alla sua pienezza. Dio, mandando suo Figlio, ha scelto di abitare il tempo. Non manca altro al nostro tempo. Non abbiamo bisogno di altro per sentire che è piena la vita. Certo, possiamo attenderci molte cose da questo nuovo anno, possiamo sperare e augurarci tanto. Ma varcando la soglia dell’anno che si apre, già sappiamo che sarà un tempo compiuto, un tempo pieno, già redento e salvato. Dio ha già compiuto questo tempo, lo ha già riempito, lo ha già portato a pienezza. E allora, nonostante gli umani timori e le umane speranze, in questo tempo nuovo che si apre nulla potrà mancarci se sapremo vedere e accogliere il compimento che Dio ha realizzato nel nostro tempo, nelle nostre giornate, nello scorrere dei giorni del calendario.

Dio ha reso pieno il nostro tempo mandando suo Figlio. Il tempo è pieno perché Dio stesso ha scelto di abitarlo in suo Figlio. Questo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, ha accolto la povertà della carne e si è sottomesso, come ogni altro ebreo, alla legge. Quella legge serviva agli uomini a ricordare la distanza da Dio, il loro essere incapaci, da soli, di vivere all’altezza di Dio. Perché non ci basta la legge, non ci basta il comando. Non ci basta sapere ciò che serve fare. La legge resta come segno di ciò che non sappiamo essere, di ciò che facciamo fatica a vivere, di quanto siamo distanti dall’essere come Dio ci vuole. 

Ed è per questo che Dio ha mandato suo Figlio. Egli si è fatto come noi, si è piegato alla debolezza della carne e della legge, per realizzare ciò che, da Eva ed Adamo, tutta l’umanità continua a sognare. L’uomo aspira ad essere come Dio e Dio ha scelto di essere come noi, di farsi uno di noi. Se la legge serviva a ricordare all’uomo la sua distanza da Dio, il Figlio è venuto a mostrarci che Dio ha accorciato ogni distanza e si è fatto vicino ad ogni uomo. 

Dio ha mandato suo Figlio per riscattarci dalla legge rendendoci figli. Non siamo schiavi, non siamo sottomessi a norme esterne di un Dio sovrano, ma siamo elevati all’altezza di figli. Non c’è più una legge che ci limita, ma c’è uno Spirito che vive in noi e ci muove dentro.

È questo il tempo della pienezza, perché c’è un Padre da riconoscere e amare, c’è uno Spirito che in noi grida “Abbà”, c’è un Figlio che, facendosi nostro fratello, ci ha resi tutti fratelli. E tutto questo non è nostro merito. Tutto questo è solo grazia, è solo benedizione divina che il Figlio ha diffuso sui nostri volti perché diventassero simili al suo.

Dio ha rivelato il suo volto, lo ha finalmente mostrato. Non un volto terribile, davanti al quale nascondersi e coprirsi, ma il volto di un uomo che si è fatto fratello per renderci figli. È questa la rivelazione che ci permette di girare con serenità le pagine del tempo vissuto e di inaugurare nuovi giorni e calendari. 

Non più Giano bifronte, non più i rimorsi per il passato e l’ansia per il futuro, ma un solo volto che ci permette di attraversare con fiducia e speranza il varco di un nuovo anno. Quel volto che Dio ha rivolto verso di noi svelandoci, una volta per tutte, anche il nostro. 

Direte loro:
“Ti benedica il Signore 
e ti custodisca.
Il Signore faccia risplendere per te il suo volto
e ti faccia grazia.
Il Signore rivolga a te il suo volto
e ti conceda pace”
(Nm6,23b-27)

Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo (Lc 2, 21)

Dio ci benedice facendo risplendere per noi il suo volto. Ed è a quello che splendore che noi possiamo guardare, perché egli quel volto l’ha orientato per sempre verso di noi. Dio fa risplendere per noi il suo volto perché, a quella luce, anche il nostro volto si illumini e ritrovi forma, si distenda e diventi, ogni giorno di più, come quell’unico volto divino che si è manifestato nel Figlio.

Non sappiamo che giorni vivremo nel nuovo anno, ma sappiamo che, in tutto, saremo custoditi da Dio. E sarà quella per noi solo grazia, dono gratuito che rende bella la vita. E vivremo la pace, quella che solo Dio può concedere, quella che disarma ogni pensiero e ogni lingua, ogni cuore e ogni mano. La pace che egli concede è la grazia con cui ci trasfigura perché, da lui custoditi, possiamo vivere nello splendore del suo volto.

La benedizione è Dio che traccia su noi i segni del volto del suo unico Figlio, è questo suo riconoscerci suoi, è questo suo accogliere il grido che si eleva dai nostri esodi e dai nostri deserti, quel grido, Abbà, che risuona nel profondo di ogni carne umana. 

Conviene fermarci ancora su questa benedizione che per noi assume un senso nuovo. Al centro di tutto c’è il volto di Dio e il suo nome. Eppure Dio, nelle Scritture del popolo eletto, non mostra il suo volto e il suo nome non può essere pronunciato.

Dio, il cui nome non può essere pronunciato, ci offre ora un nome col quale chiamarlo e ci svela il nome nel quale conoscerlo. Possiamo chiamarlo Padre e il suo nome è ora svelato in Gesù, quel nome che Maria e Giuseppe impongono al bambino perché finalmente il nome di Dio sia posto su tutti i suoi figli. “Dio salva”, significa il nome del bambino di Betlemme, ed è quel nome che ora è posto, rivelato e invocato su ogni figlio di questo mondo.

Nessuno può vedere il volto di Dio, eppure egli ha rivolto il suo volto verso di noi e ci ha rivelato i suoi tratti nel volto del Figlio. Nessuno può pronunciare il nome di Dio, eppure egli ha posto su tutti il nome del Figlio che ricorda che il nostro è un Dio che salva. Resta l’alterità di Dio, la sua grandezza e distanza perché nemmeno noi possiamo possedere Dio, il suo volto e il suo nome. Però possiamo riceverlo e possiamo accoglierlo perché nel Figlio che ci rende figli Dio si è fatto accessibile, ci ha dato il suo volto e ci ha dato il suo nome. 

Tutto questo, però, a volte non sembra bastarci. Ci sono eventi che non riusciamo a comprendere, parole che non capiamo.

Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore (Lc 2,19)

È con Maria che inizia il nuovo anno. A otto giorni dal Natale, celebriamo Maria Madre di Dio. Perché è lei, con il suo stile, ad aver dato la carne al Figlio di Dio, dopo averle dato il suo cuore. Maria è il cuore e la carne di questo mistero. È dal suo cuore che sboccia l’inizio del tempo compiuto ed è nella sua carne che si fa spazio un tempo nuovo.

E Maria è lì, donna che si è fatta casa, cuore che si è fatto fornace, carne che si è fatta accoglienza. Maria non comprende tutto. Eppure accoglie e vive ogni cosa. Resta aperta a ciò che non capisce. Custodisce come un tesoro quegli eventi che sono parole, che sono fatti, che sono annunci e rivelazioni. Trattiene fatti e parole e tutto depone nel suo cuore, tutto in lei trova spazio. Quel cuore diventa, come già lo era stato il suo grembo, una fucina di grazia, nella quale l’umano e il divino si incontrano e si tengono insieme. Maria custodisce tutte queste cose nel cuore, e lì le mette insieme, le confronta, le fa incontrare. 

Maria è donna che unisce ciò che sembra impossibile, che tiene insieme ciò che è separato. È nel suo grembo che Dio si fa uomo, è nel suo cuore che gesti e parole umane si ricompongono in Parola divina. Maria è donna di fede, perché sa attendere che tutto ciò che ella vive si ricomponga e diventi Parola, prenda forma e mostri il divino. Non seleziona, non scarta, non rinuncia a nulla, ma sa che Dio si rivela in tutto ciò che ella non riesce a comprendere. E quanto sarebbe bello imparare da lei a custodire ciò che non capiamo della Parola e ciò che non comprendiamo della vita. Proprio quello dobbiamo imparare a custodire e a mettere insieme. E poi aspettare.

A ragione Dante canta di lei “Vergine Madre, figlia del tuo figlio” e a ragione si dovrebbe cantare così della Chiesa e di ogni credente. Chi ha accolto lo Spirito e lo lascia gridare “Abbà”, chi sa riconoscersi figlio e vedere ovunque fratelli, può ancora, come la Vergine Madre, generare il Figlio, dargli la carne e la voce, dargli il cuore e la mente. La divina maternità di Maria nella carne ci ricorda che siamo ancora tutti chiamati alla maternità divina nello spirito e nelle scelte, nel cuore e nei gesti, nelle parole e nell’azione.

Ci prepariamo, quindi, ad attraversare la soglia di un nuovo anno. Non sappiamo come sarà, ma sappiamo ciò che ci basta perché sia un tempo pieno. Sappiamo che sarà ancora Dio il nostro salvatore e sarà lui a illuminarci con la luce che risplende sul volto del Figlio. Sappiamo che dobbiamo essere sempre più figli che assomigliano al Figlio, perché è lui che dobbiamo rendere visibile in tutti i giorni del nuovo calendario. 

E così il nuovo anno sarà ancora un tempo compiuto.

Liturgia della Parola

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