Parola

Tra una stella ed un Libro può accadere l’incontro

Epifania del Signore (Is 60,1-6; Ef 3,2-3a.5-6; Mt 2,1-12)

Non si vive senza desiderio e ricerca. Per quanto ci affanniamo a bastare a noi stessi, immergendoci in ciò che abbiamo, proviamo e sentiamo, il desiderio di un oltre riemerge e spesso ci afferra in maniera inattesa e imprevista. Cerchiamo invano di tenere abbassata la testa, di non cercare oltre, di accontentarci del nostro cortile, di gozzovigliare e annaspare nel tratto di vita che ci è stato concesso. Eppure non troviamo la quiete.

Non la trovano i Magi e non la trova Erode.

Oggi, si dice che anche Dio sia ormai morto e di questo ne andiamo fieri, ma non abbiamo il coraggio di riconoscere che per uccidere lui siamo un po’ morti anche noi. Vogliamo amore e soffochiamo nelle passioni e nell’odio, vogliamo serenità e viviamo nelle nevrosi, vogliamo pace e insceniamo guerre per nulla, vogliamo riposare e starcene quieti e non riusciamo nemmeno ad addormentarci.

Eppure, quando vediamo la morte di questa vita, il lento sprofondare nell’incapacità di cogliere e vivere sensi, ci accontentiamo di riempirci di cose da fare, di trovare campagne per cui combattere, di inseguire slogan che ci diano un’identità, di aggrappare la nostra storia all’ultima moda del politicamente corretto. 

Cerchiamo di afferrare un senso, di sottrarci al rischio dell’insignificanza, di dare al tempo che scorre almeno un po’ di colore e sapore.

Non ci basta vivere, abbiamo bisogno di sapere per cosa spendiamo la vita, ci serve sapere che cosa possa darci ancora un senso, che cosa possa renderci ancora umani. Perché noi uomini la vita dobbiamo scegliercela, il senso dobbiamo trovarlo. Ma spesso preferiamo far finta di nulla, restando con la testa abbassata alle cose di ogni giorno, quelle che ci fanno ignorare il desiderio che abbiamo taciuto. Abbiamo abbandonato ogni ricerca, ogni messa in questione e ci siamo accasati lì dove non possiamo mai sentirci di casa. E infatti di tanto in tanto, quando sentiamo che non siamo fatti per ruzzolare nei nostri cortili, quando sentiamo che non riusciamo a sopportare le chiusure in cui ci siamo rinchiusi, leviamo un pochino il capo, ma solo per accusare gli altri, il mondo, il tempo e persino Dio che abbiamo ignorato, accusiamo gli altri perché è colpa loro se non siamo felici, se stiamo stretti nei nostri confini, se è troppo basso il nostro soffitto, se è troppo angusto il nostro rifugio. 

Ed ecco che i Magi ci invitano a fare i conti con la nostra incertezza se continuare a fare danze macabre sul cadavere di quel Dio che diciamo sia morto o se, forse, conviene a noi tentare di rianimare in noi il suo respiro, il bisogno di lui che vive in noi

Questo Dio abbiamo cercato di nasconderlo e di farlo tacere, di ignorarlo e pensarlo inutile. Oppure abbiamo pensato bene di ridurlo ad una cosa che ci appartiene, che può essere usata come ansiolitico oppure come arma da guerra, come approvazione di ciò che già siamo, come consolazione che ci ricordi che siamo noi ad essere dio e che quindi va già tutto bene. 

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E, invece, ora ci sembra che un vero Dio bisogna ancora cercarlo. E forse bisogna anche decidersi a mettersi in viaggio. 

No, non dico che c’è nel mondo sete di Dio! Non ancora o non più. C’è però il segno di un’arsura arretrata, c’è l’affanno di chi non ha voglia di cercare pozzi, c’è la sicurezza di chi urla e ancora grida che non serve l’acqua se non può esaurire la sete.

Eppure a noi, a questo mondo confuso e distratto, rinchiuso nei suoi mille problemi, impegnato a ignorare la sete di senso o a rinchiudere Dio in un posto in cui non ci faccia danni, la storia dei Magi ci chiama in causa

Chiama in causa quelli che danzano per la morte di Dio e chiama in causa anche noi che Dio crediamo di averlo già preso in casa. 

Chiama in causa tutti quelli che hanno smesso di guardare e di cercare, di desiderare e di camminare.

I Magi sono uomini che vengono dall’oriente, da terre lontane. Sono uomini colti, forse astrologi. Sono soprattutto uomini che hanno nel cuore la voglia della ricerca, il richiamo dello stupore e della meraviglia. Sono uomini che sanno attendere e sanno cercare, sanno udire il grido del cuore e per ascoltarlo scrutano il cielo, vedono fin dentro al buio, che rivela a loro misteri di luce.

Ecco il primo dei gesti che dobbiamo imparare, che dobbiamo ritornare a fare. 

Alzare il capo e vedere il cielo, aprire gli occhi e fissarli in alto. Anche se tutto ci appare buio, anche se il rischio è di non vedere nulla. È lì che occorre ancora cercare, è lì che occorre fissare il desiderio. Cercare nel cielo le stelle nascoste. Dobbiamo ritornare a levare il capo, a sollevarlo dalle nostre faccende. Dobbiamo ancora cercare altrove. I Magi, per vedere la stella che sorge nuova, hanno distolto lo sguardo dalle loro cose, hanno levato il desiderio del cuore alla ricerca di un segno nuovo.

Ed è per questo che i loro occhi hanno visto nel cielo una stella che è sorta. Ed è quella stella a metterli in strada. Essi si mettono in cammino, abbandonano ciò che già sanno, per intraprendere una strada nuova, per inseguire un segno nel cielo.

Bisogna scrutare a fondo il cielo e la vita, la storia e il mondo, la natura e il cuore. Bisogna andare alla ricerca di una luce che ci metta in moto, che vinca le stanchezze del solito, le malinconie di ciò che occorre lasciare.

È spuntata la stella del Re dei Giudei ed è questo che li mette in cammino. È questo che può ancora illuminare il cielo di ogni vita. 

Non si è vivi se non si scruta il mondo e la storia, il cielo e la strada. Non si vive se non si è in cammino. Vivere è scoprire ciò che sempre manca alla vita, ciò che ancora occorre cercare. 

I Magi non sanno dove si trovi il bambino, non sanno dove poterlo incontrare. Ma partono dopo aver visto la stella, dopo aver fissato il cuore nel segno. La stella per loro è l’annuncio che il Re si può incontrare. Essi partono per adorarlo, per piegare davanti a lui la propria vita. La loro ricerca ha una meta, il loro desiderio un traguardo. Non partono per chiedere cose, per possedere o trattenere, partono per recare doni, per offrire le cose più preziose della loro vita. Partono perché hanno compreso che è solo adorando che si vive in piedi, è solo adorando che si vive da uomini. Solo adorando ci si disseta alla fonte di un Dio che sempre si dona a coloro che sanno restare in cammino, a coloro che sanno sentire la sete.

Ma ai Magi la stella non basta. Non basta il desiderio del cuore, non basta la vita con i suoi segni, la storia con le sue domande. Occorre accogliere questi interrogativi, questi rimandi che aprono cammini nuovi, ma poi occorre far sosta altrove. Bene facciamo ad ascoltare il mondo, a leggere in tutto i segni dei tempi, ma poi occorre fare una sosta. I segni non bastano a indicare la strada, servono a vincere l’ozio e la voglia di restare fermi, servono a risvegliare il cammino e la danza. Ma poi i segni si perdono, non conducono alla vera casa. Ed è allora che occorre far sosta.

E i Magi si fermano a Gerusalemme, lì dove sperano che ci siano parole ancora ascoltate. Sono i Magi, cosa inattesa, a recare l’annuncio a Gerusalemme. Sono i lontani a dare la lieta notizia a coloro che dovevano già conoscere l’evento. È nato il re dei Giudei. Danno loro il lieto annuncio e lo danno proprio ad Erode. 

I Magi lo dicono senza timore proprio lì, nel cuore del potere mondano, nel cuore del potere religioso che, invece di cercare Dio, ha scelto di prenderne le forme per ridurlo a un fantoccio, utile solo a puntellare convinzioni e certezze umane.

Capita ancora che non si abbia più voglia di rimescolare la vita, di assecondare il desiderio del cuore. A volte ci sembra meglio accontentarci e starcene buoni, aggrappati a ciò che sappiamo, sicuri in ciò che già siamo, convinti che alla fine anche Dio sia uno da addomesticare, da tenere a bada, in un cantuccio perché non ci faccia male. A volte è meglio toglierli spazio, non si può prenderlo troppo sul serio. Meglio ignorare la sete e ogni segno. 

A chi non vuole cercare ancora, però, la notizia recata dai Magi provoca ansia e turbamento. Desiderare e ricercare è mettere in subbuglio la vita, è scoprire ciò che ci manca, è sapere che ciò che abbiamo non basta. Sapere che è sorta la stella rompe le convinzioni che ci siamo dati. Mette in crisi la certezza di possedere Dio, di averlo reso un po’ più innocuo. 

Ed Erode resta turbato, vuol capire e vuole sapere. Vuole comprendere come può restare al sicuro, come può avere la meglio se anche Dio si è liberato dalla sua stretta e dal suo potere. Egli credeva di avere Dio in mano, di poterlo usare come arma e ricatto e Dio, invece, si è liberato, si è spostato ancora più oltre, si è mostrato ancora più in basso.

A Gerusalemme, davanti al Libro, il cammino dei Magi che sembrava in crisi, il percorso che sembrava smarrito, ritrova la strada e la vera rotta. 

È la Scrittura che prende in mano il nostro desiderio, che risolleva la nostra ricerca. 

Non puoi andare a Dio seguendo altre strade, non puoi ricercarlo per altri meandri. Prima o poi davanti a quella storia tu devi fermarti. La tua ricerca è resa possibile da quel Dio che da sempre ti cerca, che da sempre si è messo in cammino per farsi incontrare lì dove tu hai il coraggio di muoverti, dove hai l’ardire di lasciarlo parlare.

E quella Scrittura parla, continua a parlare anche se sembra lontana. Non ci sono parole più nuove, non ci sono parole più moderne di quelle che il Libro continua ad offrirti. 

E non temere, anche un Erode diventa utile, persino lui può mostrare il cammino. Erode e gli scribi sanno indicare, ma sono troppi pieni per muoversi, troppo paurosi per mettersi in cammino, troppo sicuri per prostrarsi ed adorare.

Erode ha paura di quel bambino, ha paura di un Dio che sia vivo, di un Dio che si lasci incontrare, di un Dio che si faccia amare.

I Magi erano partiti levando al cielo il loro capo, guardando al mondo e al corso degli astri, scorgendo nel tempo i segni del regno. Ma ora possono ripartire solo dopo aver puntato in basso il loro sguardo, dopo essersi fermati su quel Libro antico, su quella storia che Dio ha consegnato. 

Solo ora, riprendendo la marcia, ecco la stella che ricompare, ecco la luce che di nuovo li guida, ecco la traccia che segna il cammino. È la stella che li precede, che li guida fino alla casa.

E sarà sempre così. La stella, la storia e gli eventi possono farti strada sino alla Parola, ma poi è la Parola a rendere chiari gli eventi, a riaccendere di nuovo la stella, a renderla capace di tracciare il cammino. Bisogna restare vigili per vedere il mondo e la realtà, per sentire la vita e scrutarne il senso. Bisogna vedere i segni dei tempi! Senza confonderli con le mode del tempo, senza pensare che sia quello il mistero. Bisogna guardare nel buio e anche oltre, e vedere lì ciò che nasce di nuovo, ciò che ci orienta a fare un cammino, ciò che ridesta il bisogno di ricercare e desiderare. Ma non bastano i segni dei tempi. Non basta osservare il cielo, il mondo e la storia. Bisogna che ogni segno sia letto e ricompreso, che sia ricondotto alla Parola. È nella Scrittura che la tua vita trova il suo senso e la sua mappa. E allora tutto diventa messaggio, segno che conduce lì dove vive il mistero.

E la stella giunge e si ferma sopra il luogo dove si trovava il bambino.

E il cuore è già colmo di gioia, perché la vita ha trovato il suo senso, ogni evento è diventato mistero, ogni luogo si è fatto annuncio, ogni cosa si è fatta rimando. 

Vedono il bambino e sua madre, vedono il re che è nato anche per loro. E cadono davanti a lui, si gettano a terra per adorarlo. La loro vita ha trovato il suo senso. Si prostrano perché è lì la fonte della loro sete, è lì la sorgente che riempie il cuore, è lì il fiume nel quale immergersi. Solo cadendo davanti a Dio si può restare in piedi e in cammino. Offrono poi a quel bambino i doni preziosi che hanno portato, perché solo ciò che viene messo in mani divine resta prezioso e riempie la vita.

E solo così la vita può ancora procedere, può essere vita davvero umana.

Ripartono per un’altra strada, ripartono altrove ripieni di luce. Non hanno colmato la loro sete, non hanno appagato la loro fame. Non è possibile e non è un bene. Ma ora sanno che ci sarà sempre una stella e ci sarà sempre il Libro che può ancora condurli all’incontro. E ogni volta sarà sempre nuovo, perché è l’incontro con Dio che è il Vivente.

Liturgia della Parola

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