Diventare famiglia di Dio

X Domenica Tempo Ordinario Anno B (Gn 3,9-15; 2 Con 4,13-5,1; Mc 3, 20-35)

Tra le tante possibilità che la vita ci offre, c’è anche quella, drammatica e costante, di confondere le realtà, di illudersi su Dio e su se stessi, di prestare fede a parole infide, di diffidare del bene perché troppo convinti di ciò che sappiamo. 

La scelta è quella antica e sempre nostra: stare dentro o restare fuori non è indifferente. Confondere ciò che viene da Dio con ciò che viene dal male è il rischio a cui siamo esposti perché, al di là di tutto, resta sempre suadente la voglia di costruirci un Dio a nostra misura, che rispetti le regole che gli abbiamo imposto, che soddisfi i criteri che ci siamo dati. Eppure, basterebbe decidersi ad entrare nella casa dove Cristo raduna la folla e lì, seduti attorno a lui, fare la volontà di Dio che ci rende suoi intimi e familiari. È per questo che Gesù è uscito fuori perché ciascuno possa sentirsi di casa attorno a lui.

Gesù entrò in una casa e di nuovo si radunò una folla, tanto che non potevano neppure mangiare. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: «È fuori di sé» (Mc 3,20-21)

La scena che Marco ci offre è ricca e suggestiva. Gesù attira le folle, tutti si stringono a lui che, entrando in una casa, la rende luogo aperto a tutti. La sua presenza è apertura che rende ogni luogo la casa di tutti. Casa è dove c’è lui e dove c’è posto per tutti. 

Gesù e i suoi, però, a causa della folla non potevano neppure mangiare. Gesù, infatti, è venuto per servire e dar da mangiare, per farsi dono e farsi pane. 

Tutto si gioca tra l’essere dentro e l’essere fuori. Gesù entra in una casa e tutta la folla sembra entrare con lui. Entra con lui ed entra in lui tanto che i suoi, che vanno a prenderlo, dicevano: “È fuori di sé”.

Gesù è nella casa ma i suoi escono per andare a prenderlo. Con una sottile ironia, l’evangelista ci fa intuire che i parenti di Gesù si mettono fuori dall’incontro con lui, non sono in casa insieme alla folla, ma sono usciti per andare a prenderlo perché lo considerano fuori di sé. In poche parole pensano che Gesù non sia più lucido, non risponda più alla logica e ai criteri usuali. È un folle, uscito fuori di sé, ha perso il senno. Ed egli, in realtà, è davvero fuori di sé, tutto proiettato e proteso verso gli altri. Non è concentrato su di sé, sul piccolo mondo del proprio tornaconto e della propria sopravvivenza, tanto che non si preoccupa del proprio mangiare. Egli è fuori di sé, non, però, nel senso in cui i suoi parenti lo intendono, ma nel senso che è uscito dal Padre ed esce da sé per dare alla folla una casa in cui stare, un cibo di cui nutrirsi, una Parola da condividere.

La logica di Gesù è quella del dono che impone rinunce, della presenza che si fa offerta. I suoi non capiscono quel familiare che non risponde alle logiche tipiche e ristrette di chi sa farsi soltanto i propri affari, gestire ogni cosa e tutti per ciò che torna a proprio vantaggio. E allora sono loro a uscire per prenderlo. Vogliono ridurre Gesù alle loro aspettative, attese e pretese. E vogliono un Dio che sia secondo la loro misura. E, come se non bastassero loro, anche gli scribi si muovono per andare verso Gesù. 

Gli scribi, che erano scesi da Gerusalemme, dicevano: «Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del capo dei demòni» (Mc 3,22)

Tutto sembra andare contro Gesù. I suoi escono per andare a prenderlo perché lo considerano pazzo, gli scribi, invece, scendono da Gerusalemme perché sono convinti che il suo potere di scacciare i demoni gli derivi da Beelzebùl. 

Per i primi egli è un folle che è uscito fuori di sé, per gli altri è posseduto da Satana. Tutti pensano che Gesù non sia pienamente in sé, sia posseduto da altri e non sia in grado di badare a se stesso. 

Ma egli li chiamò e con parabole diceva loro: «Come può Satana scacciare Satana? Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non potrà restare in piedi; se una casa è divisa in se stessa, quella casa non potrà restare in piedi. Anche Satana, se si ribella contro se stesso ed è diviso, non può restare in piedi, ma è finito. Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire i suoi beni, se prima non lo lega. Soltanto allora potrà saccheggiargli la casa (Mc 3,23-27)

Gesù mette in chiaro le cose. È finito il regno di Satana, è finito il suo tempo. Egli scaccia Satana perché ha il potere di schiacciarlo. Non può Satana far guerra a se stesso, un regno diviso non può sopravvivere. Gli scribi, pur di giustificare se stessi, hanno scelto una logica assurda, dimostrano di essere loro “fuori di sé”. Non si può entrare nella casa di un uomo forte e rapire i suoi beni, se prima non lo si è legato. Gesù è entrato in casa di Satana e proprio a lui ha rubato i suoi beni, la folla. È questo l’annuncio da sempre atteso. Quello di Gesù è il calcagno che schiaccia il male, che ristabilisce nuovi rapporti, che sana vecchie fratture.

La paura di Adamo può lasciare il passo alla fiducia, la sua nudità è ricoperta di vesti nuove, la sua fame di vita è soddisfatta. È finito l’antico inganno. 

Gesù, uscendo da sé, ha radunato uomini e donne ai quali ha mostrato il vero volto di Dio, quello che l’antico serpente aveva nascosto e contraffatto. Gesù svela l’antica menzogna. Non c’è bisogno che l’uomo sogni di essere come Dio, perché Dio stesso, dopo aver creato l’uomo a sua immagine, in Gesù, ha scelto di essere uomo. È uscito fuori di sé per venire incontro, nella casa degli uomini, alla loro fame e alla loro vita. In Gesù Dio non si preoccupa di nutrire se stesso ma sceglie di farsi cibo che, nella casa, dà vita e sazia la nuova famiglia.

In verità io vi dico: tutto sarà perdonato ai figli degli uomini, i peccati e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato in eterno: è reo di colpa eterna». Poiché dicevano: «È posseduto da uno spirito impuro» (Mc 3,28-30)

C’è un peccato che resta per sempre, perché è male che si insinua nel bene, lo maltratta e lo distrugge. Chiamare male il bene, chiamare Satana Dio. Il rifiuto di Gesù non può essere perdonato perché è lui il perdono offerto. Non accogliere il dono è rifiutarlo, è privarsi di Dio e del bene che egli è venuto ad offrirci.

Il problema non è il peccato, ma la confusione per cui ciascuno pensa di poter fare da sé, di decidere di Dio e di se stessi. Il serpente, lingua astuta e menzognera, che falsifica la realtà e inganna l’uomo, lo illude di bastare a se stesso e pretende che sia l’uomo a dare forma a Dio, a rappresentarselo come se stesso. Nella dinamica del peccato delle origini, infatti, la descrizione che il serpente fa di Dio è, in realtà, la rappresentazione di se stesso. È il serpente ad essere geloso dell’uomo, creato a immagine di Dio e, quindi, vuole che l’uomo si abbassi e sfregi se stesso, cioè l’immagine che Dio ha impresso in lui. Ed è così che l’uomo, immaginando Dio come un despota invidioso e cattivo, nella disobbedienza diventa simile al serpente. E ancora è forte la tentazione di rappresentarsi Dio con i tratti del serpente che sono, in realtà, i tratti che abbiamo assunto e fatti nostri.

Ma come si vince la diffidenza verso Dio? Come si può sconfiggere il male, rinunciare alla pretesa di possedere e prendere Dio? Come si può riconoscere Dio e non confonderlo con il serpente?

Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, mandarono a chiamarlo. Attorno a lui era seduta una folla, e gli dissero: «Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano» (Mc 3,31-32)

I parenti di Gesù restano fuori, non si uniscono a quelli di dentro, a coloro che sono nella casa con Gesù. Pensano di sapere meglio degli altri dove stia il bene. Sono il riflesso, uguale e diverso, degli scribi. Quelli sapevano che Gesù era un diavolo, questi sanno che Gesù è un folle. Nessuno di loro, però, ha accettato di fermarsi con lui nella casa, di sedersi per restare attorno a lui. 

Mandano quindi a chiamare Gesù. Sono la sua famiglia, hanno dei diritti e dei vantaggi su di lui, sentono l’obbligo di tutelarlo, di proteggerlo da se stesso e dagli altri. Non possono accettare che Gesù sia fuori di sé, sia puro dono, sia offerta gratuita. Sono gelosi, proprio come il serpente.

Gesù, invece, è circondato dalla folla seduta attorno a lui. Gli dicono che sua madre, i suoi fratelli e le sue sorelle stanno fuori e lo cercano. L’evangelista è insistente nel sottolineare la distanza e la differenza tra Gesù e quelli che si considerano suoi, tra questi e la folla. Gesù e la folla sono dentro, i suoi, invece, restano fuori e lo cercano. Lo cercano senza cercarlo davvero. Vogliono soltanto prenderlo e impadronirsi di lui perché non corrisponde alle loro attese. Appropriarsi Dio è renderlo simile a sé, pensarlo come proprio, immaginarlo ad altezza umana. Ed è questo che il peccato che fa restare fuori, che impedisce di conoscerlo, di diventare la sua famiglia, suoi intimi e vicini. 

Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?» (Mc 3,33)

E questa domanda ci brucia ancora. Chi è sua madre, chi sono i suoi fratelli? Chi è la sua famiglia? Domanda che scuote e mette in crisi. Chi è intimo di Dio e suo familiare? Non ci sono risposte già pronte, la domanda è sguardo che spazia intorno, che scruta e distingue quelli di dentro da quelli di fuori.

Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre» (Mc 3,34-35)

Gesù gira lo sguardo su quelli che sono seduti attorno a lui. Sono dentro e sono con lui, gli sono attorno e vicini. Sono loro la sua famiglia. C’è un solo Padre, quello dei cieli, e poi c’è questa famiglia estesa e, spesso, invisibile su cui solo Gesù sa e può posare lo sguardo. Suo fratello, sorella e madre è chi fa la volontà di Dio. 

Fare la volontà di Dio è restare seduti attorno a Gesù, stare in casa con lui che è fuori di sé, che non riesce nemmeno a mangiare, che mette gli altri al primo posto. Essere famiglia di Gesù è lasciare che lui sia al centro e tutto ruoti attorno a lui perché tutto sia volontà di Dio, un Dio che, lo sappiamo, ha scelto di uscire da sé per farsi servo e cibo per la folla che ha fame e sete.

Fare la volontà di Dio è, prima di ogni altra cosa, accogliere ciò che Dio ha voluto. In Gesù vediamo che quello del serpente è solo un inganno, è solo morte travestita da vita, è solo invidia che avvelena ogni relazione, presunzione assurda di sostituire Dio con i peggiori dei nostri limiti. Le parole, la vita e la morte di Gesù sono annuncio di relazioni nuove, di familiarità inaspettate. E ciascuno può scegliere di essere madre, fratello e sorella, ciascuno può entrare in questa famiglia perché Dio è uscito da sé per farci entrare nella sua casa.

Anche noi crediamo e perciò parliamo, convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi. Tutto infatti è per voi, perché la grazia, accresciuta a opera di molti, faccia abbondare l’inno di ringraziamento, per la gloria di Dio (2 Cor 4,13b-15)

Liturgia della Parola


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