C’è bisogno della Parola
III Domenica Tempo Ordinario C (Nee 8,2-4a.5-6.8-10; 1Cor 12,12-30; Lc 1,1-4; 4,14-21)
Domenica della Parola di Dio
È difficile e rischioso prestare ascolto ad altre parole. Siamo già pieni di parole che ci parlano dentro, di pensieri che si affastellano e fanno castelli, dimore che pensiamo uniche, rifugi che sembrano sicuri. Siamo portati a custodire parole che pensiamo vere e, spesso, solo perché sono stanze comode in cui abitare, abiti in cui ci sentiamo a nostro agio. Sulle parole ci costruiamo la vita, ci aggrappiamo a quelle come a zattere e non vediamo che, a volte, sono solo zavorre, peso inutile da cui liberarci.
E poi di parole riempiamo il mondo, parole dette per circostanza o ipocrisia, per convinzione o costrizione. Parole in libertà, perché ci sembra che le parole non abbiano peso, non abbiano un costo e non abbiano resa.
C’è sempre ansia di parole, da dire e da ascoltare, abbiamo tutti voglia di affidare ad altri il nostro respiro e cerchiamo parole alle quali affidarci, sulle quali poter costruire.
Eppure, è forte la tentazione di cercare solo parole che siano già nostre, che ci diano conferme di ciò che vogliamo, che ci dicano ciò che sappiamo, che ci facciano riposare in pace nei nostri castelli incantati.
E poi, d’un tratto, sentiamo che nessuna parola può reggere oltre il peso del vivere, può tenere in piedi la vita, può puntellare le nostre certezze. Ci sono momenti in cui le parole crollano e quelle che sembravano le nostre certezze diventano macerie dalle quali rialzarsi.
E lo sappiamo, nonostante tutto, lo sappiamo! Abbiamo bisogno di parole altre, di qualcuno che ci guardi e ci rivolga lo sguardo. C’è bisogno di qualcuno che ci affidi il suo respiro, che lo renda visibile, che ce lo faccia toccare. Dire parole, infatti, è rendere gli altri partecipi del proprio respiro, trasmettere ciò di cui noi stessi viviamo. E allora se è Dio a parlare, quella parola è respiro divino che ci viene donato, è alterità che ci viene incontro, è vita che ci viene proposta.
C’è bisogno della parola divina, c’è bisogno di rimetterla al centro!
È a quella parola che dobbiamo prestare ascolto, non per renderla simile a noi, non per annacquarla e renderla inerme, non per attutirla e frantumarla. È parola che sempre ci sfugge ma che sempre ci assedia, ci spinge e ci salta addosso.
A noi, potrebbe anche piacere un cristianesimo di buone maniere. E invece la Parola ci viene incontro come voce davvero inaudita, come respiro che ci è sconosciuto. No, non possiamo ridurla a storia umana, a racconto di uomini e dei, a miti e ad antiche leggende. Non possiamo far finta di crederle mentre la rendiamo il resoconto di ciò che vorremmo, la conferma di ciò che pensiamo, il palinsesto dei nostri progetti.
Ci sono ovunque, persino tra credenti, tra esperti del settore, tentativi, si spera in buona fede, di normalizzare quella Parola, di spegnerne il fuoco divino, di renderla solo consiglio umano, di ridurla a ciò che già sappiamo, di farla coincidere col buon senso e col senso comune. Non ho bisogno di predicatori che usino la Parola per farle dire ciò che già so, per compiacermi di ciò che sono, per consolarmi di ciò che già penso.
Dio ci liberi da tutti coloro che usano la Parola per dire parole, per offrire se stessi e le loro manie. Ci liberi Dio da coloro che sezionano la Parola come fosse un cadavere, che prendono solo ciò che per loro serve, ciò che li aiuta ad essere come sono sempre stati. No, non credo ai predicatori che si ergono come nuovi profeti, come fonte di una nuova sapienza, che per far finta di accogliere quella parola sono pronti a riscriverla e a renderla fin “troppo umana”, troppo simile a loro stessi, troppo comoda per scomodarli, troppo propria per non appropriarsene.
Quella Parola non è di destra o di sinistra, non è arma che si possa usare, non è conferma per sostenere la parte in cui ho scelto di gareggiare. Non è parola da usare perché mi dica che io ho ragione. Quella divina è parola che scompone le carte, che spariglia le posizioni, che contraddice le parti in campo.
Quella Parola resta spada che azzanna e ferisce, che spacca le nostre cortine, che scardina le nostre ragioni, che contraddice il senso comune. Vorremo sempre ridurla a ciò che ci piace, riscriverla perché ci faccia restare comodi, tradurla perché non ci metta in crisi.
È parola che ci viene donata e non può essere tagliuzzata a proprio piacere, citata come fosse una clava o come un teorema che mi dia ragione.
La parola va accolta in ginocchio, va attesa e non disattesa. Va compresa, ma prima vissuta, perché non è fatta per compiacere la mente, ma per dare forma a tutta la vita.
E no, non possiamo nemmeno decidere ciò che ci piace, ciò che è adatto al nostro tempo, ciò che collima con i nostri sogni, ciò che coincide con i nostri progetti.
E non posso nemmeno leggerla a partire dai miei criteri e dai miei giudizi. Se quella parola è rivelazione, devo lasciare che ciò che mi è detto ponga in crisi ciò che io sono. È rivelazione di ciò che non so, di un mistero che non mi appartiene.
E allora leggere quella parola è mettere in crisi le mie convinzioni. È scoprire che le parole divine non possono essere pensate con i criteri e i pensieri umani. Non può essere il mio pensiero il vaglio e il criterio per leggere e considerare le parole divine. Sono semmai le parole divine a diventate criterio e vaglio dei miei pensieri, dei miei modi di intendere Dio, di considerare la sua potenza, di intendere il suo sogno d’amore, di vivere la mia missione.
È Dio a diventare luce che getta senso sui miei pensieri, che orienta il mio vedere, che purifica il mio sentire, che corregge la mia posizione.
E quando la parola si fa difficile e dura, quando mi sembra che mi contraddica, che non si adatti al mio pensiero, non posso lasciarla da parte o manipolarla. Devo iniziare a lottare con lei, devo esporre ad essa il fianco, devo lasciare che essa mi spogli e che, indifeso, ella mi mostri ciò che non vedo, mi renda partecipe di ciò che non so, mi conduca, anche a forza, proprio lì dove non voglio.
E se, come in tanti oggi dicono, la Parola rischia di diventare insignificante è solo perché l’abbiamo messa a tacere, abbiamo paura di metterla al centro, l’abbiamo messa al pari e accanto a tutte le altre. Se la usiamo come antidoto alle paure, come anestetico per le nostre ansie, come manuale del buon cittadino, come esempio di come vivere, dobbiamo dircelo, ci sono parole più efficaci, ci sono libri più sensati, ci sono autori molto più chiari.
Se la parola diventa insignificante è perché ormai facciamo fatica a ricercare significati, ad accogliere prospettive che siano altre. No, la parola non è insignificante perché vecchia e arretrata, perché inadatta al mondo moderno, ma solo perché non si presta a sorreggere i significati a cui ci siamo aggrappati, ai castelli di carta in cui abitiamo.
E ci vuole coraggio per prendere ancora quel rotolo ed aprirlo, per ritrovarsi insieme e perdere tempo per ascoltare parole che ci offrono l’incontro possibile con il Dio che si è fatto Parola, che si è fatto respiro umano.
Quella Parola non è pensiero su cui fare salti e acrobazie intellettuali. Non è esercizio per la ragione. Non possiamo ridurre la Parola a ragionamento, a filosofia, ad astrattezze e profonde intuizioni. Quella Parola è carne viva, è fatto ed evento, è storia che si è inabissata nella storia umana e profana. È fatto con il quale scontrarsi, è vita con la quale incontrarsi. È avvenimento compiuto tra noi.
E quando nella Scrittura incontri contraddizioni e contrasti, non cedere alla tentazione di selezionare, di scegliere da che parte stare. Non risolvere il problema cancellando ciò che ti sembra difficile. Impara a restare in quella Parola, a dimorare in quelle contraddizioni, a farti cullare da quei conflitti. Se tu non comprendi, devi allora restare in silenzio, restare esposto e nudo di fronte a ciò che non riesci ad afferrare. Sarà allora la Parola ad afferrarti, a portarti fin dentro al mistero, a farti sentire che ogni tensione e contraddizione è necessaria e rivelativa. Non puoi mettere Dio nella tua mente, non puoi rendere tutto a tua misura. Ma puoi sempre immergere te nella Scrittura, sentire che Dio è altro ed è oltre e proprio per questo può farsi vicino. E tu lo vedi ma non lo possiedi, lo ascolti ma non lo tieni. E scoprirai che anche in te si compie l’antica parola, che in te l’umano diventa divino, che in te Dio compie ogni cosa.
E allora dovremmo fare come l’assemblea d’Israele, metterci al centro di tutte le piazze e leggere il Libro per giornate intere, accoglierlo come si accoglie una vita, attenderlo come si attende il futuro, ascoltarlo come si ascolta il sussurro d’amore di chi abbiamo cercato. Leggerlo e fare festa, perché quelle parole ci dicono il volto di Dio e il nostro volto. E per aprire ancora quel rotolo, per accoglierlo e sentirlo vivo, dobbiamo fissare gli occhi su Cristo. No, non siamo noi umani a decretare chi sia Dio e cosa ci dica, non siamo noi a dire cosa sia umano, cosa sia amore e cosa sia vita. Egli è Parola ed è carne che è venuta a liberare la carne, a mostrare a noi uomini che cosa significhi essere liberi, cosa significhi accogliere il lieto annuncio e vivere la vita come un anno di grazia.
E allora davanti a tanta tristezza e schiavitù, miseria e privazione, cecità e oppressione, non ci resta che levare in alto lo sguardo, tendere l’orecchio ad un Dio che ci parla, perché solo lui puoi darci parole sulle quali appoggiare la vita, sulle quali costruire esistenze beate. Perché è oggi che si compie per noi la Parola, è oggi che Dio parla e smuove la vita, è oggi che compie per noi la liberazione.
La Scrittura si compie ancora, si compie oggi, ma solo se noi lasciamo che essa ci dica ciò che non sappiamo, ci mostri ciò che non siamo, ci orienti e ci muova lì dove non siamo. Si fa presto a dire che Dio si mostra nell’umano, ma l’umano che conosco odia e opprime, offende e uccide, ruba e violenta. E allora è meglio ascoltare Dio, solo egli ci dice e ci mostra che c’è un modo nuovo di essere umani, un modo divino di essere uomini.
Non tutto ciò che è umano è divino, ma tutto ciò che è divino si è fatto umano e a portata dell’uomo.