Quanti giusti per salvare una città?
Estratto da Una storia di fede, Abramo, di Marco Manco
Si avvia un dialogo stringente tra Dio e Abramo, un dialogo serrato e testardo. È Abramo che si avvicina a Dio, come per parlare con lui in maniera riservata e confidente. È la prima volta che Abramo avvia un vero dialogo con Dio: finora egli si era limitato a rispondere. Ora prende l’iniziativa e fa valere tutte le sue capacità oratorie e la fiducia che Dio gli ha riservato e non lo fa per sé, ma lo fa come intercessore: Abramo, fuori dal recinto della sua tenda, in un territorio che non è suo, proteso a guardare una città che non gli appartiene, spinto a vedere una città che non gli è promessa, svolge un ruolo che lo mette in gioco nei confronti delle altre nazioni. Abramo si mostra come l’Eletto, colui che è stato scelto perché altri possano godere della grazia che in lui riposa.
Egli si interessa ora alla sorte di Sodoma e, ancor più, ad un problema sempre vivo e attuale: come agisce Dio nella sua giustizia? La giustizia di Dio in cosa si differenzia da quella umana? Il problema è teologico: in gioco sono la realtà di Dio e la fede nel suo operato. Sodoma appare già, agli occhi di Abramo e di Dio, una città colpevole e, quindi, in questione non è il giudizio sulla sua empietà, ma come Dio eserciterà il suo giudizio. Abramo con i migliori espedienti retorici e le migliori tecniche persuasive, facendo leva sulle doti e sulle caratteristiche di Dio, pone il problema della distruzione della città nonostante la presenza dei giusti all’interno di essa. Sebbene l’avvio del dialogo possa trarre in inganno, poiché Abramo prende spunto dal fatto che Dio non può far perire i giusti insieme con gli empi, in questione non è solo il fatto che la distruzione della città comporterebbe la morte dei giusti con gli empi: in gioco è la possibilità di perdonare a tutti per riguardo ai giusti che sono nella città. In gioco, quindi, è il ruolo dei giusti: quanti giusti possono salvare la città e con essa anche gli empi? Quanti giusti servono perché Dio possa perdonare a quel luogo per riguardo a quei giusti? Per sei volte Abramo interroga Dio e mette in crisi il criterio della giustizia divina, che non può essere pensata e concepita al pari di quella umana. Abramo inizia ipotizzando che ci siano cinquanta giusti e con destrezza e furbizia riesce a scendere sino a dieci: «“Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta: forse là se ne troveranno dieci”. Rispose: “Non la distruggerò per riguardo a quei dieci”». È bello scoprire che davanti all’insistenza di Abramo Dio continua a rispondere e ad assecondare il giusto Abramo, anche quando egli tenta di falsare i conti: “forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?”, come se la distruzione della città fosse dovuta alla presenza in essa di cinque peccatori e non, piuttosto, alla presenza di soli quarantacinque giusti.
Abramo, che sa di essere “polvere e cenere”, pone se stesso e Dio davanti al problema della giustizia, del perdono, del giudizio, problemi di sempre che ora iniziano ad apparire sotto una luce nuova. Nel dialogo stringente e supplichevole che pone Abramo al cospetto di Dio, si giunge alla formulazione di un criterio nuovo di giustizia e di diritto: i giusti salvano una città e redimono i colpevoli secondo una logica numerica che non è quella tipicamente umana.
Il giudice di tutta la terra a cui Abramo si appella ha già i connotati di un giudice che esercita una giustizia nettamente diversa da quella umana e nella voce di Abramo si ode l’eco di tutta la storia d’Israele, in particolare dei suoi profeti e della sua teologia. Il Dio a cui Abramo rivolge le sue richieste è un Dio disposto al perdono, è un Dio che ha la ferma volontà di salvare e basta un numero esiguo di giusti perché il Dio della giustizia possa offrire a tutti il perdono per riguardo ai pochi giusti. La solidarietà nel bene diventa così un pilastro della fede d’Israele e poi della Chiesa: è l’intercessione e la presenza dei giusti a dare a Dio la possibilità di esprimere il suo giudizio di perdono che salva dal male un gran numero di abitanti della terra.
Abramo, però, si ferma, non scende al di sotto dei dieci giusti: ha ottenuto, sembra, ciò che voleva. Perché? Non ci è dato saperlo, sappiamo però che bastano dieci giusti perché Dio perdoni a molti peccatori, bastano dieci giusti per salvare un’intera città. È il numero minimo richiesto, secondo la tradizione ebraica, per un gruppo sociale (Rt 4,2) e perché si possa svolgere la preghiera comunitaria. Non è poca cosa: l’intercessione
di Abramo ha permesso a Dio di rivelare il suo vero volto di giustizia: lui, che è giudice di tutta la terra, conosce e pratica una giustizia altra rispetto a quella umana. Bastano dieci giusti e, piuttosto che chiederci perché Abramo non abbia il coraggio di proseguire in questo gioco al ribasso, a noi interessa stupirci che il Dio di tutta la terra si accontenti di così poco: dieci giusti salvano una città. […]
Ma, ed è questo il vero problema, a volte in una città i giusti non arrivano a dieci: è il dramma del peccato e il dramma di Dio. Abramo ha svolto qui un ruolo preciso: mostrare a Dio la debolezza dell’uomo e mostrare all’uomo la benevolenza di Dio.
Da allora contrattare con Dio diventerà più difficile: almeno dieci giusti, almeno dieci santi serviranno a Dio per salvare una città. Non si potrà scendere al di sotto di dieci, non ora almeno, non fino a quando basterà l’Unico Giusto a salvare il mondo intero. Già Isaia, Geremia ed Ezechiele profetano che per salvare Gerusalemme un solo giusto può bastare (Is 53, 5.10; Ger 5,1; Ez 22,30). Tutti abbiamo peccato ma Dio ha guardato all’Unico Giusto per rendere giusti tutti gli uomini (1Pt 3,18). E allora Abramo che intercede ci spinge a guardare al Cristo crocifisso che, dall’alto della croce, contempla il peccato delle città del mondo e, Nuovo Abramo, chiede al Padre il perdono per tutti: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).
da M. Manco, Una storia di fede. Abramo, Tau Editrice, pp. 164-167