Vite nuove da marce radici
II Domenica di Avvento A (Is 11,1-10; Rm 15,4-9; Mt 3,1-12)
L’Avvento si snoda tra ricerca e impegno, tra attesa e preparazione. C’è una chiamata da accogliere e fare nostra, c’è un cammino da percorrere senza esitare, c’è una conversione che deve scavare a fondo per cambiare la nostra mentalità e invertire i nostri cammini.
E ciò che da sempre ci sembra impossibile d’improvviso è Dio a realizzarlo perché è lui che fa germogliare vite nuove da marce radici.
Siamo invitati ad uscire dalle nostre situazioni di comodo a rimetterci in cammino e in ricerca perché si è fatto vicino il regno dei cieli, si è fatta vicina la presenza di Dio.
In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea (Mt 3,1)
Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati (Mt 3,5-6)
Venne il Battista e fu l’inizio di un tempo nuovo. Quell’uomo strano sceglie di fermarsi fuori dal mondo, nel deserto, che è ricordo di storie passate, di amori appena sbocciati, di fedeltà messe alla prova, di silenzio che risuona di vita, di libertà che viene donata, di impegno che rende fruttuoso il cammino. Nel deserto è nato il popolo, lì Dio lo ha plasmato e ha chiamato suo figlio un branco di gente.
Il Battista riparte da lì, al confine della terra promessa. E tutto il popolo, che vive sicuro nella terra di Dio, è richiamato ad uscire fuori, a fare i conti con la realtà. Il Giordano è il confine tra la terra di Dio e la terra profana, tra la promessa e l’adempimento, tra la fiducia e il possesso.
Giovanni è richiamo e voce che grida ancora e ci tira fuori dalle nostre certezze, dalla nostra illusione di essere a casa, di aver già terminato il cammino, di aver finalmente saldato i conti, di essere a posto con Dio e i fratelli.
Il Giordano è il limite della nostra identità, il margine di ciò che siamo. Ogni tanto bisogna tornare fuori, lì dove il cuore rimane incerto, dove la promessa è ancora da compiere, dove il possesso è rimandato. Bisogna uscire fuori dalla terra e rifare la strada, rifare il cammino della libertà perché c’è sempre una strada da fare.
Il Battista è lì su quell’uscio a preparare il nuovo ingresso, la venuta di Dio per entrare con lui nella terra che è il regno. La terra promessa, i nostri successi, i nostri riti, la nostra morale, il nostro credere sono sempre e soltanto segno che rinvia altrove, segnale che mostra la strada perché nessuno si illuda di essere dentro, di avere i piedi ben saldi e sicuri.
Predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!» (Mt 3,1b-3)
Giovanni è voce che grida nel deserto, un luogo disabitato. Il suo è un richiamo che spinge fuori, conduce lontano dai propri rifugi, dalle certezze che fanno comodo. È la Parola a convocare e a chiamare ad un nuovo Esodo, ad un cammino che è reso possibile perché Dio stesso si è fatto vicino alla nostra storia per essere via su cui camminare, per essere strada che conduce alla pace.
Giovanni il Battista anticipa e, quindi, prepara, lo stesso annuncio che sarà di Gesù. È vicino il regno dei cieli! Quella di Dio è una vicinanza che smuove lo spazio, è vicinanza diffusa nel tempo. Egli è vicino, ovunque tu sia, perché il Signore avanza nel mondo, cammina ora sui nostri sentieri. È vicino perché Dio si è fatto presente nella carne viva di Gesù, abita la nostra storia, è vivo nella nostra carne.
La conversione è resa possibile perché ora sappiamo dove guardare, abbiamo da chi imparare.
Convertitevi è l’invito a guardarsi dentro, a vedere le strade chiuse che abbiamo imbroccato e le scorciatoie che non ci portano a nulla.
Convertirsi è darsi una mossa, è scuotersi e decidersi, è volgere lo sguardo e tutta la vita verso colui che viene e si è fatto vicino.
Ma non è sforzo di volontà, non è impegno o abbellimento, non è fare qualcosa di buono, non è tentare di sistemare le cose. La conversione è rinnovo drastico e radicale, è grazia accolta che rinnova la vita. È apertura, grata e accogliente, che mette in gioco la nostra persona.
Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco.
Non bastano le belle parole o fare qualcosa che aggiusti la coscienza e rimodelli le apparenze. Giovanni è duro (e lo sarà anche Gesù) con coloro che pensano di essere furbi. Non serve avere Dio come un bene di famiglia e un patrimonio da custodire. La fede non è qualcosa da tirar fuori quando serve, da far vedere all’occasione. La fede non è la presunzione di essere a posto o già arrivati.
La conversione è cosa seria, non basta sistemare la facciata.
La conversione ci scava dentro, è come una scure che taglia a fondo, che rimodella tutta la vita perché sia fruttuosa e rinnovata.
Abbiamo paura di convertirci perché conversione è lasciare che la parola ci spezzi e, a volte, ci faccia male. Conversione è farla finita con parole che non lasciano il segno, con gesti che non cambiano il cuore delle relazioni, con preghiere esibite e presunzioni che non fanno di Dio il cuore pulsante delle nostre scelte.
Abbiamo paura di convertirci perché sembra che Dio venga a giudicarci. In realtà viene a mostrarci che la nostra vita è già rinsecchita, è già inutile e senza frutto.
A noi resta la scelta di lasciare che il regno che viene in mezzo a noi ci rinnovi completamente, ci renda capaci di dare frutti degni della svolta che Dio ha compiuto.
In quel giorno un germoglio spunterà dal tronco di Iesse,
un virgulto germoglierà dalle sue radici.
In quel giorno avverrà
che la radice di Iesse si leverà a vessillo per i popoli.
Le nazioni la cercheranno con ansia.
La sua dimora sarà gloriosa (Is 11,1.10)
È il lieto annuncio del profeta Isaia. Dalle radici, malate e nascoste, dal tronco ormai rinsecchito spunta un germoglio nuovo. È la vita che fiorisce lì dove noi abbiamo fallito, è Dio che viene lì dove noi non siamo stati all’altezza.
La storia monarchica di Israele è fallita, nessun re è stato degno. Eppure da lì, da quella radice senza frutto e senza speranza, Dio si impegna a far nascere vita. Da lì nasce il virgulto nuovo e la radice, prima nascosta, diventa un vessillo per tutti i popoli.
Solo Cristo, che sempre viene, rende feconda la nostra storia, è la sua linfa a risanare la vita, a rendere il cuore capace di bene, a fare di noi strumento d’amore.
«Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile» (Mt 3,11b-12)
Innestati in Cristo, germoglio e vessillo, abbiamo in dono lo Spirito Santo, viviamo della vita di Dio che è entrato in questa storia, nella nostra carne, nella nostra umanità.
E non importa se anche in noi c’è un po’ di paglia che va bruciata, un po’ di male che va estirpato, un po’ di arroganza che va annientata. Sarà doloroso ma necessario. Resterà solo il frumento buono perché la nostra vita, unita a quella di Cristo, diventi pane spezzato.
Immersi nello Spirito Santo, possiamo diventare in questo mondo, segno, annuncio e profezia dell’umanità possibile, realizzazione del sogno di Dio.
E nascerà l’aurora di un mondo nuovo, sarà l’avvento del regno in noi e noi vivremo per sempre nel regno.
Il lupo dimorerà insieme con l’agnello;
il leopardo si sdraierà accanto al capretto;
il vitello e il leoncello pascoleranno insieme
e un piccolo fanciullo li guiderà.
La mucca e l’orsa pascoleranno insieme;
i loro piccoli si sdraieranno insieme.
Il leone si ciberà di paglia, come il bue.
Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera;
il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso.
Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno
in tutto il mio santo monte,
perché la conoscenza del Signore riempirà la terra
come le acque ricoprono il mare (Is 11,6-9)