Sete e fame, sintomi della vita
III Domenica di Quaresima A (Es 17,3-7; Rm 5,1-2.5-8; Gv 4,5-42)
La vita è questione di acqua e di cibo. La sete e la fame, infatti, sono i sintomi chiari della vita. Solo chi è vivo e vuole restare in vita ha sete e fame. Attorno all’acqua e al cibo, segni di vita e di pienezza, si condensa un dramma intero. Tutta la Scrittura è abitata dal cibo e dall’acqua, dalla fame e dalla sete.
In questo cammino quaresimale, dopo il deserto serve l’acqua e anche il cibo. Serve una sorgente che non deluda, serve una fonte che non sia a secco.
Di amori è costellata la vita e, proprio per questo, è costellata anche di delusioni. Perché amare è, spesso, ricerca disperata, ansia che è messa alla prova, attesa che resta delusa. Non bastano gli amori a riempire d’amore, non bastano le passioni a dissetare la sete.
L’amore fa disperare, perché è agli amori che, spesso, si chiede ciò che da soli non sanno dare.
Gesù è affaticato e si siede al pozzo di Giacobbe. È luogo carico di memoria e affetto, è segno e richiamo ad incontri d’amore, a occhi che guardano e sanno vedere, a mani intrecciate che aprono il futuro. Al pozzo si rivela l’amore, perché è lì che si vede Dio e si vede l’altra, quella alla quale unire la propria carne.
Il pozzo è dono, è gioia piena, perché è vita che viene affidata. È pozzo vivo la parola divina, che dona acqua che rende vivi, che rende feconda tutta la vita.
Gesù è stanco ed è mezzogiorno. L’ora delle quiete e degli imprevisti, l’ora di amori furtivi, di donne nascoste che, nel silenzio in cui tutto tace, possono, almeno un po’, uscire fuori allo scoperto.
Mezzogiorno è l’ora dei folli, di quelli che non hanno la vita in regola, di quelli che sono fuori ogni schema e norma.
Dammi da bere. Gesù ha sete e chiede di bere. Avrà ancora sete, lì, sulla croce. È sete divina che vuole suscitare, in tutti, la sete di lui e del suo amore. Egli ha sete della tua sete.
La samaritana sa il fatto suo, è donna di mondo e spregiudicata. Sa come affrontare un maschio solo, sa restare alla sua altezza. Non cede a quelle che sembrano delle lusinghe, un modo semplice per abbordarla. Sa che deve tenere lontani i Giudei. Eppure, la sua domanda resta sospesa.
Come mai tu chiedi da bere a me? Tra me e te non c’è nulla in comune. Tra la donna e Gesù c’è un abisso di vita e di stile. E Gesù, con la sua sete, scavalca l’abisso che lo separa da quella donna, supera il confine che li considera stranieri, vince la diffidenza che dovrebbe tenerli lontani.
E Gesù ora rinvia lontano. Da sete a sete, da acqua ad acqua, perché tutto è solo segno che rimanda ad altro, è solo segnale che richiama ciò che sembra lontano. Se conoscessi il dono di Dio… Se conoscessi il dono di Dio non avresti bisogno di mendicare l’amore e scambiare passioni. Se conoscessi il dono di Dio la tua sete conoscerebbe l’acqua viva, quella che rende viva la tua esistenza, la sottrae agli amori tragici, a quelli amori disperati che promettono vita e danno la morte. Sì, lui è davvero più grande del padre Giacobbe. Egli è più grande perché ogni pozzo che dona l’acqua è solo annuncio di un dono più grande, di una vita più piena.
L’acqua che Gesù dona diventa sorgente che zampilla per sempre, diventa fonte che disseta tutti, diventa vita che si moltiplica, si fa presenza che si dona a tutti. C’è in tutti una sete che è messa a tacere, che è soffocata e resta confusa, resta nascosta tra mille passioni, tra tanti modi di sentirsi a posto, di restare appagati da ciò che non appaga.
Dammi quest’acqua, dice la donna, perché è stanca di tornare al pozzo, di rimpinguare la vita, di riempire di amori un cuore che ha sete del vero amore.
E qui la scena si fa intensa e precisa. Gesù non è stanco per caso, la sua sete è sete mortale. Vuole che la donna mostri apertamente che ciò che vive è solo apparenza, che l’amore che prova è tentativo.
Non ho marito, dice la donna. E dice il vero! Perché non ha un amore che la renda piena, che riempia il cuore e dia senso alla vita. Perché un marito è segno di Dio, è Dio che ha abbracciato l’umano, che lo ha fatto suo e lo ha baciato. Ella non ha marito, ne ha avuti cinque e non sappiamo la loro fine, non conosciamo l’esito del loro amore. La donna tentava di nascondere i suoi fallimenti, quelli che la rendono sempre assetata. Gesù, invece, la fa uscire allo scoperto. Rivela a lei la sua sete d’amore, le mostra che quella sete ha un nome e un motivo.
Sorge così la disputa su chi creda meglio, su dove Dio debba essere adorato. Gesù, nel conflitto tra fedi, rivela il compimento di ogni tensione. Giungerà l’ora, quella suprema, quella in cui il Padre si rivela nel Figlio, quella in cui Figlio rivela il Padre, quella in cui la croce rivela al mondo l’Amore divino che è senza misura. È quella l’ora in cui l’adorazione sarà fatta in spirito e verità. Parole ambigue e disastrose a cui è sempre difficile dare un senso. Il Padre verrà adorato in spirito e verità. Non è un culto evanescente, non è qualcosa che si muove nell’aria, un culto racchiuso nella propria mente. Adorare il Padre è possibile soltanto nello Spirito che vive in noi. È Dio stesso ad agire in noi, a pregare e ad orientare la vita al Padre. Perché adorare il Padre è conoscere la verità, il Figlio in cui si rivela, l’amore in cui si dona. Adorare il Padre diventa possibile a tutti coloro che accolgono, mediante il dono dello Spirito, la verità della rivelazione del Padre, quella che risplende nella carne del Figlio. Giungerà l’ora in cui il Padre non sarà più sconosciuto, avrà un volto e sarà il Figlio a rivelarlo. Giungerà l’ora in cui il Padre non sarà più uno straniero, ma sarà in noi con il suo Spirito.
La donna sa che verrà il Cristo, sa che deve giungere il compimento. E Gesù alla donna rivela se stesso. Sono io, che parlo con te. Sono io il Messia, colui che annuncia ogni cosa, colui che rivela il volto di Dio, colui che mostra la gloria del Padre. E rivelando se stesso, rivela alla donna il suo volto di amante, la sua sete di amore, la sua voglia di scegliere bene per quale amore, tra i tanti avuti, vale la pena vivere ancora.
La donna ha fretta, lascia la brocca e torna in città. Si mostra a tutti senza pudore e dice alla gente ciò che ha vissuto. Non pretende di essere creduta sulla parola, ma insinua un dubbio: Che sia lui il Cristo?
Invita tutti a venire e a vedere. E non c’è forma più bella della missione, non c’è modo più alto di dire il Vangelo. Anche Gesù usa le stesse parole. Perché credere è incontrare lui, è vedere la sua presenza, è ascoltare le sue parole. Credere è questione di amore e l’amore chiede l’incontro. Non si crede per interposta persona perché l’amore chiede l’incontro, vuole parole che ci mettano a nudo e, nonostante questo, mostra con forza che siamo belli così come siamo, siamo belli perché siamo amati.
E i discepoli, intanto, restano lì. Sono dubbiosi e incerti. Non sanno cosa sia accaduto, sono pieni di meraviglia perché ogni norma è contradetta, ogni confine è superato, ogni limite è scavalcato.
A colui che ha sete e offre da bere, essi offrono cibo. Ma è un cibo usuale. Gesù, invece, ha fame altra. Ha fame di compiere l’opera, di giungere al compimento. È fame di amore e fame di morte. Gesù sa che non c’è mietitura se non passando attraverso la morte, il compimento di ogni promessa. E saranno gli altri a mietere, saranno i discepoli e noi dopo loro. Ma sono altri ad aver seminato, ad aver speso la loro vita. La mietitura è il tempo giusto, quello che Dio ha scelto. È l’ora che si compie sulla croce, quando matura il cammino dell’intera umanità. È lì, sulla croce, che si concentra la storia passata ed è da lì, da quell’uomo che ha sete, che può iniziare la mietitura, la raccolta di vita futura, l’abbondanza di eredità.
E anche i Samaritani iniziano a credere. Hanno fede nelle parole della donna, leggono sul suo volto la luce nuova di un amore che la rende attendibile, che la rinnova nella sua fedeltà.
E credono ancor di più perché hanno ascoltato e ora sanno che è davvero lui il salvatore del mondo.
C’è in tutto questo una rivelazione. Uno svelarsi del mistero di Cristo. È lui che da lontano si fa confidente, si mostra come Messia e salvatore. E si mostra così perché ha sete d’amore e ha fame di fare la volontà di Dio.
L’incontro d’amore, al pozzo di Giacobbe, è mistero davanti al quale sostare. È fidanzamento che segna il passo di una danza che, iniziata allora, si compirà sotto la croce.
Ed è di quell’acqua, parola di vita, che la nostra vita ha ancora sete. Non ci basta ritornare ai nostri pozzi, ai nostri pensieri, alle nostre logiche. Abbiamo sete di un senso altro, di una parola che orienti la vita, che la renda gravida di nuova promessa. Ed è la Parola, accolta in noi, a farsi sorgente, a farsi fonte da cui sgorga lo Spirito, a farsi parola che è sempre nuova.
L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.
Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi (Rm 5,5b.8)
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