Autore: Marco Manco

Parola

Lo Spirito grida in tutte le lingue

Per cinquanta giorni abbiamo celebrato la Pasqua, abbiamo raccolto i frutti di questa storia, lasciando che la vita del Cristo risorto smuovesse le morti che ci portiamo dentro, aprisse i sepolcri che teniamo chiusi, ridestasse il coraggio e la voglia di amare. 
E ora, al termine di questo spazio di grazia, la Pentecoste ci proietta in avanti, ci spinge fuori e ci porta altrove. 

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Parola

Vivere Dio nella sua assenza

L’Ascensione del Risorto al cielo è l’apertura definitiva della nostra storia, lo sfondamento di questa realtà. Il mondo non è più chiuso in se stesso, costretto a ripetere le stesse cose, a ripercorrere gli stessi percorsi. Con l’ascensione la storia ha un senso perché quella salita al “cielo” è segno e rimando ad un oltre a cui il tempo è orientato, ad un oltre a cui il mondo è chiamato. E avviene ancora quel mirabile scambio. Se a noi resta il compito di rendere il Cristo vivo e presente in questo mondo, il Cristo risorto ci rende presenti e già immersi nella realtà divina. Il Cristo e noi, suoi testimoni, siamo da allora impegnati a unire ciò che era diviso, ad avvicinare ciò che era distante, a ritrovare ciò che era perduto: perché Dio sia visto e riconosciuto persino nella sua assenza. L’Ascensione, infatti, fa ricadere su ogni credente il compito e la responsabilità di rendere viva la presenza divina, di rendere Dio presente nel mondo.

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Parola

Dio cerca casa e dimora

Siamo condotti al cuore del nostro credere e al centro del nostro tempo, al senso più vero di ciò che viviamo. Perché credere è dare a Dio nuova carne, farlo entrare ancora in questo mondo perché sia presenza viva e luminosa. Non c’è bisogno di salire al cielo, di solcare distanze e sfidare altezze, c’è semmai urgenza di accogliere qui in basso ciò che dall’alto ci è stato donato, di accettare che venga un Dio ad abitare oggi la nostra storia. C’è bisogno di rendere viva, nelle vicende di questo tempo, la memoria e la presenza di quelle parole che ci hanno svelato il suo volto di Padre.

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Parola

Solo l’Amore rinnova il mondo

L’esordio di questo brano non è dei migliori. Siamo nel contesto dell’Ultima Cena, della notte più buia del tradimento, della notte che delude ogni attesa, che smaschera le voglie segrete, che mette in vista ciò che si è tentato di tenere nascosto. È notte ed è buio quando Giuda esce dal cenacolo. Ed esce per compiere il tradimento, per realizzare la consegna dell’amico, di colui che si è piegato a lavare i suoi piedi. Ed è quella notte buia l’ora in cui il Figlio è glorificato. È il paradosso pasquale. L’ora della gloria coincide con l’ora del più buio abbandono, del tradimento e della consegna. Il Figlio è glorificato dal Padre e il Padre è glorificato nel figlio. E questa è una gloria strana, che abita nella notte più buia, che si realizza nel tormento più forte, che si compie quando il tradimento è compiuto. 

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Parola

Avere l’Agnello per pastore

Viviamo giorni in cui le tante parole dicono poco e i passi si fanno più incerti ed erranti. Ci sono voci che si levano forti, per far sentire che hanno ragione, ci sono passi che calpestano terra e frammentano vite per far sapere che hanno la mano forte, pugno che stringe bene, che colpisce e bagna i volti di lacrime. E non si tratta solo di guerre e conflitti. Avviene così anche nelle vite ordinarie, nei nostri rapporti e situazioni. E forse è sempre stato così.

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Parola

Credere alle ferite

Pasqua non è un giorno che ammette confini. Siamo alla sera di quello stesso giorno, perché da allora ogni giorno è il giorno ottavo, il giorno nuovo. La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!» (Gv 20,19)

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Parola

Di Pasqua non so parlare

Di Pasqua non si può parlare. Ci sono, certo, parole da dire, pensieri da esprimere, immagini da rivelare. Ma Pasqua non è parola che può essere creduta solo perché detta e pronunciata. Persino i cristiani fanno fatica a credere a Pasqua. Perché Pasqua è lo sfondamento del tempo, è il varco nel muro, è il superamento di ciò che è umano. 

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Parola

Un puledro per scendere

Siamo giunti alla Domenica delle Palme, il portale che ci introduce nella Grande Settimana, nei giorni della creazione del mondo nuovo, in cui celebriamo la nostra nascita. Essere credenti, infatti, è sentire e sapere che ogni storia e vicenda ha inizio da qui e qui conduce, perché essere cristiani è vivere, sulla propria carne, l’assurdo e l’indicibile che in questi giorni si è fatto spettacolo. Luca, infatti, così definisce ciò che avviene sulla croce: “Così pure tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo…” (Lc 23,48).

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Parola

Un dito che incide la pietra

La vita è fatta di storie, di legami e di tradimenti, di perdite e di ricerche. E la storia della salvezza, cioè la nostra vita amata e abbracciata da Dio, ci costringe a fermarci per capire a che punto siamo. E, alla fine, siamo sempre lì, fermi su quel lastricato, un po’ adulteri e un po’ giudici, un po’ peccatori e un po’ giustizieri. Ed è lì che si trova anche il Maestro, all’incrocio imprevisto di storie diverse. È lì che il suo dito segna e ridisegna la storia, che mostra il senso di ciò che è creduto, il motivo di ciò che è vissuto, il significato di ciò che è osservato.

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