Parola

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Avere l’Agnello per pastore

Viviamo giorni in cui le tante parole dicono poco e i passi si fanno più incerti ed erranti. Ci sono voci che si levano forti, per far sentire che hanno ragione, ci sono passi che calpestano terra e frammentano vite per far sapere che hanno la mano forte, pugno che stringe bene, che colpisce e bagna i volti di lacrime. E non si tratta solo di guerre e conflitti. Avviene così anche nelle vite ordinarie, nei nostri rapporti e situazioni. E forse è sempre stato così.

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Credere alle ferite

Pasqua non è un giorno che ammette confini. Siamo alla sera di quello stesso giorno, perché da allora ogni giorno è il giorno ottavo, il giorno nuovo. La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!» (Gv 20,19)

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Di Pasqua non so parlare

Di Pasqua non si può parlare. Ci sono, certo, parole da dire, pensieri da esprimere, immagini da rivelare. Ma Pasqua non è parola che può essere creduta solo perché detta e pronunciata. Persino i cristiani fanno fatica a credere a Pasqua. Perché Pasqua è lo sfondamento del tempo, è il varco nel muro, è il superamento di ciò che è umano. 

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Un puledro per scendere

Siamo giunti alla Domenica delle Palme, il portale che ci introduce nella Grande Settimana, nei giorni della creazione del mondo nuovo, in cui celebriamo la nostra nascita. Essere credenti, infatti, è sentire e sapere che ogni storia e vicenda ha inizio da qui e qui conduce, perché essere cristiani è vivere, sulla propria carne, l’assurdo e l’indicibile che in questi giorni si è fatto spettacolo. Luca, infatti, così definisce ciò che avviene sulla croce: “Così pure tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo…” (Lc 23,48).

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Un dito che incide la pietra

La vita è fatta di storie, di legami e di tradimenti, di perdite e di ricerche. E la storia della salvezza, cioè la nostra vita amata e abbracciata da Dio, ci costringe a fermarci per capire a che punto siamo. E, alla fine, siamo sempre lì, fermi su quel lastricato, un po’ adulteri e un po’ giudici, un po’ peccatori e un po’ giustizieri. Ed è lì che si trova anche il Maestro, all’incrocio imprevisto di storie diverse. È lì che il suo dito segna e ridisegna la storia, che mostra il senso di ciò che è creduto, il motivo di ciò che è vissuto, il significato di ciò che è osservato.

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Le sventure si fanno Vangelo

La cronaca di sofferenza, dolore e morte trova ampio spazio in questo tempo. Prima la pandemia e ora la guerra, morte su morte, dolore su dolore, male su male. Le sventure, di ieri e di oggi, le tragiche morti e il dolore ci stanno sempre davanti agli occhi e chiedono di diventare Vangelo, di non essere sprecate, di farsi segno e annuncio perché il tempo, per ciascuno di noi, non scorra invano.

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Entrare nella nube

La seconda tappa del cammino quaresimale fa sosta, dopo il deserto, sul monte. È l’approdo di uno sforzo, una salita che chiede di lasciarsi dietro le cose che sanno di terra. Anzi, salendo in alto bisogna portare solo la propria terra, quella di cui è impastata la vita. È sul monte che si ha una prospettiva più ampia, che supera steccati e confini. Il monte avvicina a Dio e permette di toccare ed entrare in cielo tenendo i piedi affondati sul nudo terreno. 

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Vivere è affrontare una prova

La prima tappa della Quaresima ci propone, come ogni anno, la scena delle tentazioni. È una prima sosta che mette le cose in chiaro. Vivere è affrontare una prova, perché la fede ci inchioda alla storia, ci provoca nelle scelte, ci rimanda a ciò che viviamo. La fede si dice con tutta la vita della quale bisogna imparare ad affrontarne le prove e le tentazioni. 

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Solo uno è l’albero buono

Venti di guerra scuotono la terra e le travi che abbiamo negli occhi, quelle che finora abbiamo fatto finta di non vedere, non possiamo più nascondercele. Siamo tutti chiamati in causa, tutti complici nella gestione delle cose del mondo, delle ricchezze e del benessere, delle relazioni e delle concessioni al male che abbiamo fatto per interesse, con la speranza, inutile e vana, che il male non venisse mai fuori. E ora non possiamo meravigliarci se quest’albero produce ancora frutti cattivi, se solo il fosso è la meta di ciechi che hanno fatto da guida ad altri ciechi. E proprio ora, in questo contesto di tenebra, c’è ancora una Parola che ci inchioda a ciò che è attuale. 

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