Parola

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L’amore è la vera ingiustizia

Mentre risuonano, come sempre, venti di guerra e si diffondono ovunque parole che dividono e contrappongono, la vita è scossa e liberata da un comando che già conosciamo. Davanti al male e ai nemici, davanti alla lotta e alla guerra, davanti alla violenza e al sopruso, davanti all’odio che incontriamo ovunque, non ci è stata promessa la certezza di uscirne illesi, di superare l’ostacolo, di vincere su chi ci vuol male. Ci è stata data solo una parola, la più alta e la più sconosciuta, quella a cui si ribella la vita, quella che suscita sdegno e grida ingiustizia. Amate!

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Benedizione e maledizione

È difficile districarsi tra le cose della terra e quelle del regno, tra i fondamenti che sorreggono il mondo e quelli su cui si fonda la vita del regno. E in mezzo resta la sfida lanciata ad ogni discepolo, ad ogni uomo che non voglia ridurre la fede a cornice e ornamento della propria vita. È sfida alta e difficile perché è la vita, prima o poi, a chiederci conto del sostegno che abbiamo scelto. Non possiamo sottrarci alla scelta, dobbiamo deciderci su chi confidare e a chi affidarci. Ed è inutile stare a fare troppo i sottili, a distinguere e a lambiccare. Perché non c’è modo di restare in piedi se non accettando di affidare la propria vita a qualcuno che sia in grado di reggerla e sostenerla, a qualcuno che sia fedele e non tradisca, a qualcuno dal quale niente e nessuno possa mai allontanarci. Bisogna imparare, però, ad essere radicali perché la scelta si imprima, giorno dopo giorno, in tutte le scelte. 

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Perché le reti non restino vuote

Aumenta ogni giorno l’elenco dei “fallimenti” dei credenti e delle chiese. E aumentano le diagnosi e le terapie, i tentativi di riscossa e di ripresa. Si ragiona e fatica tanto, si prospettano soluzioni e strategie, riorganizzazioni e cambiamenti. E, invece, la notte si fa sempre più lunga, le fatiche restano vane e le reti vuote. E dimentichiamo che non siamo noi a faticare, che non sono le nostre strategie umane a pescare viva la vita. A noi è chiesto di avere fede, di affidarci alla Parola per non sprecare tempo ed energie a lavare e a riassettate reti che restano vuote.

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Un Dio che non ci appartiene

Presi dall’ansia di piacere a tutti, di sentirci accettati, dimentichiamo che il compimento di ogni annuncio è scritto sulla carne dell’Uomo di Nazareth. E quella carne non ha avuto vita facile, non ha accolto applausi e consensi. È carne impastata di cielo che ci invita ad uscire allo scoperto. Spesso, davanti al rischio di non essere apprezzati, di non essere alla moda e al passo coi tempi, ci viene voglia di sistemare le cose, di riadattare tutto secondo il consenso, di ammodernare secondo i sondaggi. Preferiamo non urtare nessuno e sembra che, alla fine, siamo noi i primi a non prendere troppo sul serio che in Gesù è Dio che si è rivelato, un Dio che si è fatto vicino e che, per questo, continua a restare Mistero. 

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C’è bisogno della Parola

È difficile e rischioso prestare ascolto ad altre parole. Siamo già pieni di parole che ci parlano dentro, di pensieri che si affastellano e fanno castelli, dimore che pensiamo uniche, rifugi che sembrano sicuri. Siamo portati a custodire parole che pensiamo vere e, spesso, solo perché sono stanze comode in cui abitare, abiti in cui ci sentiamo a nostro agio. Sulle parole ci costruiamo la vita, ci aggrappiamo a quelle come a zattere e non vediamo che, a volte, sono solo zavorre, peso inutile da cui liberarci. 

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Nozze in cui scorre il sangue

Giovanni ci conduce, con il racconto del primo dei segni, al cuore del mistero pasquale. Non basta sapere che Dio è venuto nel mondo, non basta riconoscerlo e chiamarlo col suo vero nome. Egli è venuto per manifestarsi all’umanità come sposo che unisce la nostra vita alla sua, nell’offerta del vino buono che sgorga dal suo fianco trafitto d’amore.  

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Riemersi con lui dal Giordano

Per questo, dopo la manifestazione ai Magi, ci è offerta la manifestazione al Giordano (a cui segue, nella tradizione ecclesiale e, quest’anno, anche nella liturgia di domenica prossima, la manifestazione alle nozze di Cana). Gesù scende nel fiume Giordano per farsi battezzare con tutto il popolo e lì Dio rivela il suo volto nel volto del Figlio. Ha inizio così il ministero di Gesù, la sua opera di condivisione e di dono, di annuncio e di cura, di amicizia e passione. 

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Tra una stella ed un Libro può accadere l’incontro

Non si vive senza desiderio e ricerca. Per quanto ci affanniamo a bastare a noi stessi, immergendoci in ciò che abbiamo, proviamo e sentiamo, il desiderio di un oltre riemerge e spesso ci afferra in maniera inattesa e imprevista. Cerchiamo invano di tenere abbassata la testa, di non cercare oltre, di accontentarci del nostro cortile, di gozzovigliare e annaspare nel tratto di vita che ci è stato concesso. Eppure non troviamo la quiete.

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Non due volti ma uno

L’origine del nostro capodanno si deve a Giano bifronte. Era un dio dotato di un doppio volto: capace di guardare indietro, al passato, e di vedere il futuro. Era il dio dell’apertura e di ogni inizio. Anche noi siamo soliti, al termine di un anno, volgere lo sguardo indietro per tirare le somme e, contemporaneamente, proiettarci in avanti, con il cuore colmo di attese e di paure, di speranze e timori. E la liturgia ci accompagna in questo nostro attraversare il tempo. Non sappiamo come sarà il nuovo anno (che non si apre certo con i migliori auspici), tuttavia la storia civile e il ciclo dei giorni ripartono otto giorni dopo il Natale. È dal quel piccolo bimbo nella mangiatoia che si compie la svolta su ogni calendario e si inaugura un tempo nuovo. L’alba di un altro inizio è segnata dalla luce della notte di Natale, che la Chiesa celebra per otto giorni.

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Quando ci diranno beati?

C’è il rischio di abituarsi a tutto. Persino al Natale. Non ci stupisce più il mistero dell’incarnazione! Non nasce in noi quel senso di meraviglia inquieta. Dio ha scelto di entrare nella storia dell’uomo usando la “porta di servizio”. Dio si è fatto uomo, è passato attraverso le strettoie della vita umana. Quelle stesse alle quali tentiamo inutilmente di sottrarci. Quelle stesse che pensiamo siano di ostacolo e impedimento all’incontro con lui. Natale, invece, è scoprire che Dio è proprio lì dove non dovrebbe. Natale è credere che Dio si muova ancora lungo le strade del mondo per far sussultare di gioia ogni vita. É credere che egli ha scelto che il nostro corpo sia il suo, che la mia carne diventi la sua.  

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