Parola

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Fossero tutti profeti!

È forte la tentazione di pensare di avere un’esclusiva, di avere il monopolio di ogni dono divino. Bisogna avere un cuore aperto per vedere e riconoscere che Dio ha ovunque seguaci, spesso silenti e nascosti, che si rivelano in segni semplici, in un sorso d’acqua donato in suo nome. A tutti questi occorre guardare non come a concorrenti e avversari, ma come a complici di un mistero più grande, che soverchia e scavalca barriere e confini umani. Dio è dono per tutti, è presenza che si installa nei cuori. Ed è soprattutto ai piccoli e ai deboli nel loro credere che occorre prestare attenzione. Il loro cammino è incerto e indeciso ed è facile per noi, con le nostre certezze e le nostre ricchezze, diventare ostacolo, pietra che intralcia il loro percorso. 

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E ancora continuiamo a discutere

Ci sono parole che devono essere ripetute perché siano fissate nel tempo. Non basta ascoltarle e poi lasciarle cadere. Gesù continua il suo cammino attraversando sentieri già conosciuti ma, nel farlo, preferisce che nessuno lo venga a sapere, perché è intento ad aprire una strada che resta, perfino oggi, ancora difficile da riconoscere, un percorso che molti rifiutano. Eppure è su quelle parole che egli ancora ritorna come un coltello che scava e allarga la piaga.

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Una fede che sa di satanico

Credere non è punto di arrivo, meta a cui si è arrivati, traguardo che permette la quiete. Credere è rimettersi ogni volta in cammino, dando inizio a qualcosa di nuovo. Per un viaggio non basta la mappa o sapere il tragitto. Non puoi accontentarti di conoscere a memoria gli snodi e i sentieri senza però mai averli percorsi. Serve mettersi per strasa e vedere ogni segnale, seguire il sentiero a cui la mappa conduce. Bisogna quindi conoscere e prendere per buona la mappa, studiare le tracce e persino i tragitti ma solo per mettersi finalmente in cammino ed iniziare il vero percorso. 

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Una guarigione che prepara alla Croce

Ci sono tempi in cui è difficile restare saldi e vedere il cammino, ascoltare e dire parole che esprimano il senso. Ci sono tempi, personali, sociali ed ecclesiali, in cui ci si sente smarriti, incapaci di proseguire il viaggio, incerti e indecisi perché, alla fine, non si sa mai se ne valga la pena. Presi dai nostri mondi accartocciati, dalle nostre ansie che tolgono il fiato, dai nostri asfittici problemi concreti, dimentichiamo di ancorare il cuore, di fissarlo su una certezza, di farlo lacerare da un annuncio che ormai non aspettiamo. Eppure, proprio quando ci sentiamo smarriti e pervasi dal nulla, riecheggia per noi l’invito che diventa promessa: “Coraggio, non temete!”.

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Non andare dove ti porta il cuore

Bisogna intendersi bene. A furia di parlare di regole e di comandi, di cose da fare e da osservare c’è il rischio di perdersi e smarrire il cuore. C’è anche il rischio di mettere maschere, di indossare costumi di scena ed essere ipocriti. Non possiamo ridurre il Vangelo e la fede ad un’osservanza di regole esterne, di tradizioni nelle quali viviamo. Perché non è lì che riposa il senso del nostro credere. Non è lì che si rinnova la vita. Non è lì che si compie il mistero. Abbiamo un Dio che si è piantato nel cuore, ha preso lì casa e dimora. Si è piantato dentro come presenza che tutto rinnova, come vita che genera vita.

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Resto, ma solo perché non so dove andare

Ma dopo tanto vagare, dopo tanto servire parole diverse, dopo aver confidato di trovare vita altrove, forse è proprio qui che possiamo restare. Dove altro andare? Dove altro appoggiare la vita? Da chi andremo? Abbiamo già troppo toccato che altrove non c’è vita vera. E allora è bello sapere che possiamo restare in quelle parole, possiamo appoggiarci sulla durezza di questa parola.

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E anche la morte si trasformò in danza

Maria, dopo aver detto il suo Eccomi esulta nel suo Signore, danza di gioia per le meraviglie di Dio, canta le grandi cose compiute in lei, che è solo umile serva a cui Dio ha volto il suo sguardo. E quell’esultanza, manifestata davanti alla cugina Elisabetta, è sinfonia che ricopre la terra, musica che muove la storia, danza d’amore a cui ogni carne è chiamata. È a quel canto che l’umanità deve accordarsi, è su quella melodia che bisogna riscrivere ogni storia, è su quei toni che bisogna muovere i passi. Non c’è altro progetto o sogno di Dio: che la terra diventi una danza, che ogni corpo esulti e canti le grandi cose che la misericordia sa compiere. È per questo che anche la morte è solo un passo di danza, il più alto e rischioso e, forse, il più bello e mirabile.

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Anche la Chiesa è sotto una ginestra

I Giudei mormoravano, pensavano di conoscere Gesù e la sua storia. Sapevano già tutto di lui. Rinchiusi nei loro saperi, protetti da idee e convinzioni, non vedevano che il divino si è fatto storia, che la loro storia è resa divina, che c’è un cielo che nutre la terra e c’è una terra che accoglie in sé il cielo. E Gesù resta lo scandalo, perché egli è il pane disceso dal cielo e allora ogni terra è richiamo di cielo e il cielo invito a guardare la terra. E non c’è posto per una scelta o un’opzione. A noi spetta vedere e tenere insieme il cielo e la terra, il divino e l’umano, l’eterno e il tempo, la Parola e la carne. E noi siamo casa in cui la terra e il cielo danzano insieme.

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Cercare Dio per trovare la fame

Non basta cercare Dio se non trovi la fame che dentro ti porti. E di fame in fame, di bisogno in bisogno, scopri che Dio non serve a nulla, non serve per mangiare e restare sazio, non serve per avere successo e vita più facile, non serve nemmeno per vivere senza soffrire e morire. Cercare Dio è trovare l’abisso che abbiamo dentro, il grido che si ferma alla gola, l’arsura che secca la vita, la fame che rende stanco il cammino.

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La vita è un rischio da correre

Per seguire Gesù bisogna muoversi all’altra riva, bisogna uscire e vivere l’esodo, mettersi in viaggio e restare scoperti perché sia scoperta la fame e il bisogno. Gesù, che visita città e percorre le strade consuete, è colui che sceglie anche di attraversare il mare e salire sul monte. Gesù li attrae lì, quasi in un’imboscata, perché lì, lontano da ciò che soddisfa i loro bisogni, lontano da ogni certezza, lontano da ogni rassicurante rimedio, la folla impari ad esporsi nuda, a mostrare il suo bisogno di vita, a far vedere la sua fame non ancora appagata. Provoca l’esodo che espone al deserto e alla fame, che rende nudo il bisogno e il cuore.

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