Parola

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Riposo ed esodo perché la missione diventi attrazione

Non basta la missione dei Dodici, non basta andare nelle città. Non basta nemmeno essere visitati da coloro che hanno un potere divino. Per sapere e vedere che c’è un Pastore ci vuole il coraggio di vivere l’esodo, di uscire allo scoperto, di lasciarsi guidare su sentieri che non sembrano vivi, che mettono a tacere i rumori e le voci del mondo, che sembrano far mancare la vita e il respiro. Non basta l’annuncio e la testimonianza. Serve anche un tirarsi fuori, un fare riposo che diventa esodo. Perché ciò che conta della missione non sono i successi e le adesioni, ma sono gli esodi che si sono compiuti e quelli che sono stati ispirati.

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Scelti per essere segno

È bello sapere di essere eletti e chiamati, figli e quindi anche eredi. Ci immaginiamo diversi dagli altri perché abbiamo accolto una chiamata e un appello. Eppure il nostro non è un privilegio. Non è un merito essere credenti e cristiani. È un compito che ci è affidato, una missione che ci è stata donata. E ogni volta che ci sentiamo migliori degli altri dobbiamo ricordare che è proprio per loro che siamo stati chiamati, è a loro che siamo inviati. Non siamo cristiani per noi stessi, ma per essere strumento della vita e della gioia di tutti. E ognuno è inviato lì dove si trova a vivere e operare. La fede non è un ritagliarsi un angolo di mondo nel quale trovare pace, ma è rottura di ogni nostra quiete personale per impegnare la vita, per essere annuncio, segno e presenza di Colui che ci ha scelti e chiamati.

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Ci sono ancora profeti?

Per quanto possiamo essere anche noi ribelli e in rivolta, ci sono sempre in mezzo a noi vite e parole che hanno un sapore diverso, che indicano una storia che è rinnovata. Non siamo soli e perduti per sempre. C’è sempre in mezzo a noi un profeta, un dito che indica il cielo, un cuore che resta di carne, un gesto che racconta l’amore. Ci sono ancora traiettorie che spingono in alto, che prendono per mano la terra e in essa vedono il cielo riflesso. Ci sono ancora mani capaci di toccare la storia e di renderla santa, di guardare l’uomo e di riconoscere in lui un volto divino. Ed è da costoro che possiamo andare, perché ci insegnino che Dio si è fatto feriale, si è fatto compagno di strada e si è fatto cammino.

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Solo la morte rende fecondi

Credere è questione di morte perché solo quando si è di fronte e insieme alla morte la fede diventa credibile, diventa capace di riaprire alla vita. Non si può generare alla vita, non si può essere fertili e fecondi davvero senza prima aver attraversato e vinto la morte. E la morte non è vinta per nostra forza o perizia, né per ingegno e furbizia, la morte è vinta quando con fede tocchiamo e ci lasciamo toccare da Colui che, vincendo ogni nostro isolamento e chiusura, ci richiama e ridesta alla gioia di essere vivi, di essere, con lui, generatori e dispensatori di vita.

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Un Dio da conoscere

Celebrare la festa della Santissima Trinità è ancora e sempre più necessario. Mentre alcuni dichiarano la morte di Dio e di ogni fede, altri ricercano divinità perdute, altri inseguono energie divine, altri sentono di essere divini, altri immaginano di fondersi nell’uno, e tutti corriamo il rischio di dire Dio senza conoscerlo.

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