Parola

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Mandati per essere segno

È bello sapere di essere eletti e chiamati, figli e quindi anche eredi. Ci immaginiamo diversi dagli altri perché abbiamo accolto una chiamata e un appello. Eppure il nostro non è un privilegio. Non è un merito essere credenti e cristiani. È un compito che ci è affidato, una missione che ci è stata donata. E ogni volta che ci sentiamo migliori degli altri dobbiamo ricordare che è proprio per loro che siamo stati chiamati, è a loro che siamo inviati. Non siamo cristiani per noi stessi, ma per essere strumento della vita e della gioia di tutti. E ognuno è inviato lì dove si trova a vivere e operare. La fede non è un ritagliarsi un angolo di mondo nel quale trovare pace, ma è rottura di ogni nostra quiete personale per impegnare la vita, per essere annuncio, segno e presenza di Colui che ci ha scelti e chiamati. 

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Profeti del quotidiano

A volte ci sembra che sia finito il tempo dei profeti, di coloro che facevano udire chiara la voce, che scuotevano cuori e coscienze, che rendevano presente e visibile il futuro desiderato e sognato da Dio. Ci sembra che oggi anche l’annuncio sia un po’ addormentato, quasi prosaico, senza forza e passione.   

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Vite feconde

Credere è questione di morte perché solo quando si è di fronte e insieme alla morte la fede diventa credibile, diventa capace di riaprire alla vita. Non si può generare alla vita, non si può essere fertili e fecondi davvero senza prima aver attraversato e vinto la morte. E la morte non è vinta per nostra forza o perizia, né per ingegno e furbizia, la morte è vinta quando con fede tocchiamo e ci lasciamo toccare da Colui che, vincendo ogni nostro isolamento e chiusura, ci richiama e ridesta alla gioia di essere vivi, di essere, con lui, generatori e dispensatori di vita.

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