Parola

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Che cosa cercate?

Nel tempo di Natale abbiamo vissuto l’incarnazione di Dio che ha mischiato la sua vita a quella dell’umanità. Il tempo ordinario ci immette, in maniera graduale, nel mistero della storia in cui Dio si manifesta e fa conoscere. È nell’ordinarietà della vita, infatti, che siamo chiamati a cercare il Dio che ci chiama, è tra le voci confuse che possiamo scoprire l’appello, unico e inatteso, di colui che ci ama. Qui, nei contesti usuali e feriali, egli ci chiama per nome, fa vedere il suo volto e ci fa vedere chi siamo. Entra nella nostra personalissima storia per rivolgerci parole che ci mettono in cammino e in ricerca.

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Credere ad un Dio dei volti

La parola “Dio” può dire ancora molto ma il rischio è confondere Dio con i concetti che abbiamo. Possiamo immaginarlo come il sovrano potente che tutto dispone e organizza, come l’energia che muove le cose, come l’insieme di quello che esiste, come la parte migliore di noi. E forse il rischio è che ciascuno abbia e si faccia il suo Dio. Dedicare una festa alla Trinità ci chiede di ritornare a questo cuore pulsante e vitale del nostro credere.  Ci siamo smarriti per strada. Abbiamo manomesso il cuore del nostro messaggio e abbiamo offerto un Dio che fosse a misura umana. 

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La Pasqua non è conclusa

Per cinquanta giorni abbiamo celebrato la Pasqua. Abbiamo raccolto i frutti di questa storia, lasciando che la vita del Cristo risorto smuovesse le morti che ci portiamo dentro, aprisse i sepolcri che teniamo chiusi, ridestasse il coraggio e la voglia di amare. Si conclude il tempo pasquale, ma non si conclude la Pasqua, non si chiude e rinserra la storia nuova che, da quel giorno, ha investito la vita del mondo. La Pentecoste, infatti, più che chiudere il periodo pasquale, compie e rende perenne il tempo nuovo della Pasqua di Cristo. 

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La Pasqua si fa feriale

L’Ascensione di Gesù al “cielo” ci mette alla prova. Sarebbe facile incontrare il Risorto che cammina nelle nostre strade, ma non è questo che ci è stato donato. Sarebbe bello tenere lo sguardo orientato al cielo, restare lì, in attesa che qualcosa avvenga, ma non è al cielo che dobbiamo guardare. Il nostro sguardo è incastrato in questa terra, è orientato a questo mondo, è fissato su questa storia. 

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Amare è vedere Dio

Questo non è il tempo dell’assenza. Il Risorto è vivo e noi lo vediamo perché amare è vedere Dio. È il tempo della testimonianza pasquale, in cui dare ragione, amando, della speranza che è in noi. Amare è da Dio, per questo il Figlio ha promesso a noi il Paràclito, perché ci resti accanto per sostenere il cammino, per renderci capaci di vivere fedeli alla speranza che ci è stata donata, fedeli all’amore che è Dio.

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Erranti come pecore

È difficile parlare di pecore e di pastore, di recinti e di porta. Siamo convinti che ciascuno basti a se stesso e sappia già dove andare. Non sentiamo il bisogno di stare insieme, di essere gregge che si ritrova. E poi ci ritroviamo a leccarci le ferite, rinchiusi nelle verità che abbiamo elevato a torri di difesa e di attacco. Siamo incapaci di riconoscerci e saperci vicini.È il primo giorno della settimana, il giorno primo del mondo perché è l’inizio di un mondo nuovo. Ma le porte sono chiuse perché è forte il timore degli avversari, l’insidia di chi è là fuori. Hanno paura di fare una brutta fine, di seguire davvero il Maestro di cui ancora sono chiamati discepoli. Ma ora non c’è più nulla da fare, nessuno più da seguire.

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Per strada ci siamo anche noi

L’avventura dei due discepoli di Emmaus è quella nostra. Anche noi siamo spesso in cammino, senza speranza e con poca fede. Delusi e amareggiati, impegnati in tante discussioni che ci fanno perdere fiato e rendono il cammino sempre più incerto e insicuro. Eppure, mentre abbiamo deciso di voltare le spalle all’unico luogo che può darci speranza, proprio allora possiamo sentire che, in questo cammino di disperati, di gente delusa e disillusa, non siamo soli.
È il primo giorno della settimana, il giorno primo del mondo perché è l’inizio di un mondo nuovo. Ma le porte sono chiuse perché è forte il timore degli avversari, l’insidia di chi è là fuori. Hanno paura di fare una brutta fine, di seguire davvero il Maestro di cui ancora sono chiamati discepoli. Ma ora non c’è più nulla da fare, nessuno più da seguire.

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Porte chiuse e ferite aperte

Era la sera di quel giorno strano, in cui la morte suscita angosce e gli eventi del mattino sollevano domande, ma i discepoli sono ancora insieme. A tenerli uniti non è la voce del loro Maestro, ma la paura che rinserra i cuori, che pone un freno alla speranza, che argina l’onda di ogni emozione. 

È il primo giorno della settimana, il giorno primo del mondo perché è l’inizio di un mondo nuovo. Ma le porte sono chiuse perché è forte il timore degli avversari, l’insidia di chi è là fuori. Hanno paura di fare una brutta fine, di seguire davvero il Maestro di cui ancora sono chiamati discepoli. Ma ora non c’è più nulla da fare, nessuno più da seguire.

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Una tomba che profuma d’amore

Il Vangelo è la storia di un’amicizia. Una storia che conosce il pianto, il dolore, la paura, la morte. È la storia di ognuno quando comprende di essere amato, quando vede, tra le tante lacrime che la vita gli dona, anche quelle dell’Amico che sembrava lontano, quasi distratto e indifferente al dolore che accompagna ogni morte. “Colui che tu ami” è malato, dicono a Gesù. E non c’è migliore definizione dell’amico e dell’uomo. Ognuno ha impresso per sempre questo nome davanti a Dio. Ognuno è colui che egli ama. E prima di ogni altra cosa siamo questo per lui: coloro che egli ama. E gli amati si ammalano, provano dolore, attraversano il confine ostile della morte. E non una volta soltanto. La vita è costellata di morti: delusioni, fallimenti, cadute, perdite, insoddisfazioni. Perdiamo sempre qualcosa di noi, fino a perdere tutto noi stessi.

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In cerca di luce

Siamo tutti un po’ ciechi. Brancoliamo nel buio, alla ricerca di un senso, di una bellezza che ci sembra perduta, di una luce che ci sembra negata. È fatta di tenebre la nostra esistenza, di insicurezze e incomprensioni. Ed è nelle tenebre che si fa il male, perché sia nascosto e non sia visto. Siamo in cerca a tentoni, mendicanti di visioni e di vedute, persi nelle nostre cose che non ci fanno vedere bene, non ci fanno vedere lontano.
In questo cammino quaresimale, dopo il deserto serve l’acqua e anche il cibo. Serve una sorgente che non deluda, serve una fonte che non sia a secco. 
Di amori è costellata la vita e, proprio per questo, è costellata anche di delusioni. Perché amare è, spesso, ricerca disperata, ansia che è messa alla prova, attesa che resta delusa. Non bastano gli amori a riempire d’amore, non bastano le passioni a dissetare la sete. 
L’amore fa disperare, perché è agli amori che, spesso, si chiede ciò che da soli non sanno dare. Siamo ciechi quando pensiamo di tenere tutto, persino Dio, sotto controllo. Siamo ciechi e lo restiamo, quando ci illudiamo di vedere bene, di bastare a noi stessi e restiamo chiusi nel nostro buio.

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