Parola

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Sete e fame, sintomi della vita

La vita è questione di acqua e di cibo. La sete e la fame, infatti, sono i sintomi chiari della vita. Solo chi è vivo e vuole restare in vita ha sete e fame. Attorno all’acqua e al cibo, segni di vita e di pienezza, si condensa un dramma intero. Tutta la Scrittura è abitata dal cibo e dall’acqua, dalla fame e dalla sete. 

In questo cammino quaresimale, dopo il deserto serve l’acqua e anche il cibo. Serve una sorgente che non deluda, serve una fonte che non sia a secco. 
Di amori è costellata la vita e, proprio per questo, è costellata anche di delusioni. Perché amare è, spesso, ricerca disperata, ansia che è messa alla prova, attesa che resta delusa. Non bastano gli amori a riempire d’amore, non bastano le passioni a dissetare la sete. 
L’amore fa disperare, perché è agli amori che, spesso, si chiede ciò che da soli non sanno dare.

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Trasfigurare la storia

Gesù sale sul monte portando con sé tre discepoli. Li porta in disparte, su un alto monte. C’è bisogno di staccarsi dagli altri, di vedere bene e a fondo e per farlo serve salire in alto. È un monte che si eleva al di sopra dei nostri orizzonti, più alto delle nostre mete. È monte che avvicina al cielo e, per questo, fa vedere meglio la terra. Ci sono momenti in cui abbiamo bisogno di quest’altezza, di questa salita che, mentre sembra farci lasciare il mondo alle spalle, in realtà è solo il modo per vederlo meglio, per penetrare al fondo di tutto, anche del buio più fitto.

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Liberare Dio dalle false immagini

La prima tappa della Quaresima ci propone, come ogni anno, la scena delle tentazioni. È una prima sosta che mette le cose in chiaro. Vivere è affrontare una prova, perché la fede ci inchioda alla storia, ci provoca nelle scelte, ci rimanda a ciò che viviamo. La fede si dice con tutta la vita, della quale bisogna imparare ad affrontarne le prove e le tentazioni. Non credo a chi si bea di un Dio che ha già dentro, di un Dio che non scomoda e “non fa problemi”. Non mi fido di chi racchiude la fede in una pace che sa di narcotico, di chi, sentendosi figlio, pensa di essere già dentro casa. Non credo a chi ha paura di sporcare Dio con le parole che dicono prova e tentazione. E so che non si sporca l’uomo se riconosco che vivere è la tentazione più grande, che credere è la prova più difficile.

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L’amore sovverte ogni legge

È sempre facile fraintendere e smarrire il senso delle parole, ridurle a ciò che siamo in grado di intendere e di volere. La rivelazione, però, propone parole altre, che non si attestano sul nostro orizzonte. Parole che si muovono in alto, verso confini e orizzonti divini. Ed è per questo che non basta dire amore e non basta nemmeno amare. Amore e amare sono parole che dicono tanto, forse anche troppo, ma non dicono mai a sufficienza, perché quando la Scrittura parla di amore non parla di noi e dei nostri sentimenti, non parla delle nostre scelte e delle nostre azioni. Dire amore, per la Scrittura, è rivelare Dio e il suo volto, è dispiegare la sua santità, è raccontare la sua perfezione. 

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Immersi nel mondo per dire Dio

La luce è la prima delle creature che Dio ha fatto, la prima parola che Dio ha pronunciato. E luce e parola si fondono insieme. Tutto esiste per la sua parola e la sua parola è luce alla quale vedere ogni cosa. E tutto ciò che Dio ha fatto è cosa buona. Ogni opera, fatta da Dio, è cosa buona perché è fatta dalla sua parola, è impregnata della sua luce. E Dio ci dona ancora la sua parola, luce che vince le nostre tenebre. Essere discepoli, quindi, è accogliere in noi la sua parola, vivere della sua luce e compiere, insieme a lui, le opere buone che rinnovano il prodigio della creazione, la preservano dalla corruzione, la rendono bella e sempre più buona perché diffondono, in questo mondo, la sua parola, luce divina che Dio ha messo in noi.

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Una vita controcorrente

È sempre difficile distinguere i criteri divini da quelli umani, la sapienza di Dio da quella degli uomini. E ogni cristiano si trova nel mezzo, incerto abitante di logiche opposte. C’è una scelta da fare, ci sono decisioni da prendere, c’è un criterio da scegliere. E, nonostante le tante parole, è sempre difficile prendere per buone le beatitudini, parole che sconvolgono il senso comune, che mettono in crisi le nostre certezze, che ribaltano i nostri piani. Il nostro è un Dio imprevedibile, un Dio che ci chiede di andare controsenso sui sentieri della storia. 

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Venite e diventate Parola

Per quanto siano fitte le tenebre c’è sempre una luce a rischiarare la notte, per quanto sia profondo il silenzio c’è sempre una voce a sollevare il cuore, per quanto siamo lontani da Dio c’è sempre la sua parola a venirci incontro, a inseguirci nei nostri sentieri, a incontrarci sui nostri cammini sperduti. È così che ha inizio il Vangelo e si muove su strade inattese. Così avanza ancora oggi l’annuncio lieto: Dio si è fatto vicino, si è accostato alle nostre vite ordinarie.  

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Testimoni dell’Agnello

Dopo aver celebrato il mistero dell’incarnazione ed essere stati partecipi della duplice manifestazione di Dio nella carne di un uomo (ai Magi e nel battesimo al Giordano), il cammino si ferma, prima di proseguire sul sentiero ordinario, dinanzi ad una ulteriore manifestazione della gloria divina, quella nascosta nel servo che si fa agnello. «Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria» (Is 49,3). L’immagine del servo, che Isaia delinea, è quella di colui che, come agnello mansueto, si lascia condurre al macello portando su di sé il peccato di molti. È su di lui che Dio manifesta la sua gloria, quella stessa che Giovanni indica nell’uomo che viene verso di lui. 

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Così fu generato e così resta con noi

Ci sono svolte che non sono pensabili. È l’incursione di Dio nella nostra vita, il suo farsi vivo lì dove non è possibile, proprio quando non è contemplato. E a fatica riusciamo a credere che sia proprio lui a farsi presente, perché è segno chiaro che ci mette in crisi, che si fa vicino e ci chiama a giudizio. Dio infatti, mentre si dona, ci spinge sempre ad una crisi, ad una scelta che è solo nostra. 

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Lo scandalo della gioia

Nel cuore dell’avvento risuona l’invito alla gioia e la Parola avverte che non è più tempo di pianto e di tristezza. Ma come e perché gioire? Come annunciare e vivere questo il tempo come il momento della festa? Attorno a noi regna una coltre di nube e di rassegnata disperazione. Nulla sembra andare per il verso giusto e i progetti umani sono sempre più incerti e precari. Siamo in balia delle onde e delle maree. Eppure risuona per noi l’invito a rallegrarci. 

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