Parola

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Non dobbiamo salvare il mondo

È pericoloso sezionare il Vangelo, ridurlo a parti e renderle autonome. Il racconto del buon samaritano (domenica scorsa) e quello di Marta e Maria se non sono letti insieme ci fanno prendere abbagli, ci fanno pensare a contrapposizioni inesistenti e scegliere priorità inesistenti. Cosa è più importante? Amare Dio o il prossimo? Ascoltare la parola del Signore o darsi da fare? Restare seduti in silenzio o mettersi a servizio degli altri? Se nella parabola del buon samaritano, infatti, tutto è centrato sull’amore per il prossimo, che è vero se è impegno a farsi carico, se è preoccupazione che spinge a fare concretamente qualcosa, il racconto di Marta e Maria, invece, sembra spingere in senso contrario. Marta è sollecitata dal Signore a ripensare alle sue priorità, alla sua scelta di darsi da fare e Gesù indica, in quella scelta da Maria, la parte migliore che consiste, semplicemente, nel restare seduti ai suoi piedi per ascoltare la sua parola.

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Amare è farsi prossimo

Ereditare la vita eterna è possibile vivendo l’amore, facendo dell’amore il centro unificante di tutto l’essere, il cuore pulsante di tutto l’agire. Mentre viviamo il tempo della dispersione, della frammentazione, dell’alienazione risuona anche per noi la possibilità di unificare la nostra esistenza, di dare un volto alla nostra persona, di ricomporre i pezzi del nostro vissuto. Amando, Dio diventa il centro unificante di tutta la vita e impariamo a farci prossimi e vicini ad ogni uomo che incontriamo per strada. L’amore, infatti, non è teoria, ma concretezza fattiva che si fa carico, che si prende cura delle ferite di ognuno. 

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Mandati a custodire la vita

Ci sono momenti in cui è forte l’urgenza di muoversi e di andare. Sono situazioni e circostanze in cui la verità del proprio restare corrisponde alla disponibilità a lasciarsi mandare altrove. Diventare discepoli, infatti, è possibile solo diventando apostoli. Perché seguire il Maestro è anche precederlo lungo le strade, preparare il suo incontro con gli altri, testimoniare che il suo regno si è fatto vicino. E, forse, solo lasciando che egli ci mandi nel mondo, nella concretezza delle case e delle città, diventiamo pienamente discepoli, certi che l’unico vanto di cui vantarci è la croce con la quale egli ha scritto i nostri nomi nel cielo, li ha resi vivi e saldi nella memoria del Padre.

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Imparare a dirigere il volto

Ci sono svolte in cui la fede è messa alla prova, è chiamata a reagire davanti agli eventi, è spinta a decidersi e a fare scelte. Credere, infatti, non è assentire e dire cose, ma muovere i passi su un cammino nuovo, restare per via e senza dimora, incontrare ostacoli e ostilità. Ed è allora che bisogna fermare lo sguardo sul volto del Cristo, per scoprire che è un volto orientato, che guarda fisso verso una meta, che indica, con fermezza e ostinazione, che la sequela sconvolge la vita, che ogni invio è congedo urgente, è decisione che spezza legami perché guarda avanti e guarda oltre. 

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Moltiplicare la vita

Celebrare la festa del Corpo e Sangue di Cristo è fermarsi ancora nel cuore della Pasqua per lasciare che l’evento che ha segnato la storia tocchi e risani il tempo ordinario del vivere. Il pane e il vino, segni di vita e di lavoro, di ciò che serve ed essenziale, segni di festa e di condivisione, di amore e di gioia, diventano, nell’Ultima Cena, il segno grande di un amore supremo, di un amore totale, di un amore divino che si spezza e si spende nelle nostre storie umane.

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Lo Spirito grida in tutte le lingue

Per cinquanta giorni abbiamo celebrato la Pasqua, abbiamo raccolto i frutti di questa storia, lasciando che la vita del Cristo risorto smuovesse le morti che ci portiamo dentro, aprisse i sepolcri che teniamo chiusi, ridestasse il coraggio e la voglia di amare. 
E ora, al termine di questo spazio di grazia, la Pentecoste ci proietta in avanti, ci spinge fuori e ci porta altrove. 

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Vivere Dio nella sua assenza

L’Ascensione del Risorto al cielo è l’apertura definitiva della nostra storia, lo sfondamento di questa realtà. Il mondo non è più chiuso in se stesso, costretto a ripetere le stesse cose, a ripercorrere gli stessi percorsi. Con l’ascensione la storia ha un senso perché quella salita al “cielo” è segno e rimando ad un oltre a cui il tempo è orientato, ad un oltre a cui il mondo è chiamato. E avviene ancora quel mirabile scambio. Se a noi resta il compito di rendere il Cristo vivo e presente in questo mondo, il Cristo risorto ci rende presenti e già immersi nella realtà divina. Il Cristo e noi, suoi testimoni, siamo da allora impegnati a unire ciò che era diviso, ad avvicinare ciò che era distante, a ritrovare ciò che era perduto: perché Dio sia visto e riconosciuto persino nella sua assenza. L’Ascensione, infatti, fa ricadere su ogni credente il compito e la responsabilità di rendere viva la presenza divina, di rendere Dio presente nel mondo.

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Dio cerca casa e dimora

Siamo condotti al cuore del nostro credere e al centro del nostro tempo, al senso più vero di ciò che viviamo. Perché credere è dare a Dio nuova carne, farlo entrare ancora in questo mondo perché sia presenza viva e luminosa. Non c’è bisogno di salire al cielo, di solcare distanze e sfidare altezze, c’è semmai urgenza di accogliere qui in basso ciò che dall’alto ci è stato donato, di accettare che venga un Dio ad abitare oggi la nostra storia. C’è bisogno di rendere viva, nelle vicende di questo tempo, la memoria e la presenza di quelle parole che ci hanno svelato il suo volto di Padre.

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Solo l’Amore rinnova il mondo

L’esordio di questo brano non è dei migliori. Siamo nel contesto dell’Ultima Cena, della notte più buia del tradimento, della notte che delude ogni attesa, che smaschera le voglie segrete, che mette in vista ciò che si è tentato di tenere nascosto. È notte ed è buio quando Giuda esce dal cenacolo. Ed esce per compiere il tradimento, per realizzare la consegna dell’amico, di colui che si è piegato a lavare i suoi piedi. Ed è quella notte buia l’ora in cui il Figlio è glorificato. È il paradosso pasquale. L’ora della gloria coincide con l’ora del più buio abbandono, del tradimento e della consegna. Il Figlio è glorificato dal Padre e il Padre è glorificato nel figlio. E questa è una gloria strana, che abita nella notte più buia, che si realizza nel tormento più forte, che si compie quando il tradimento è compiuto. 

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